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«Il Black Friday è concorrenza sleale»

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«Il Black Friday è concorrenza sleale»

  • –Emanuele Scarci

MILANO

Le catene commerciali italiane contro i privilegi fiscali dei retailer digitali e la deregulation di cui godono gli operatori online. Ieri, in vista del Black Friday, giornata clou per il commercio online, le catene della distribuzione moderna aderenti ad Adm (associazione che comprende anche Coop e Conad) hanno presentato una sorta di Manifesto di politica economica in 5 punti finalizzato al rilancio del Paese: verrà consegnato a partiti e istituzioni. E al primo punto c’è il tema caldissimo della concorrenza, con il rispetto delle regole (fiscali e normative) sia per i player con negozi fisici che per quelli dell’e-commerce.

I distributori commerciali dicono no alla Web tax (una cedolare del 6% sui ricavi da attività digitale per gli operatori senza stabile organizzazione), attualmente in discussione in Parlamento nella legge di bilancio. «Si tratta di una misura del tutto insufficiente: la web tax non riequilibra il peso fiscale con i player fisici» ha detto il presidente di Adm, Giorgio Santambrogio. Il vicepresidente Maniele Tasca ha aggiunto: «L’incidenza fiscale per gli operatori fisici sta fra il 30 e il 40%. Più verso il 40 che il 30%. L’anno scorso abbiamo versato nelle casse dello Stato 7 miliardi di euro fra imposte e contributi».

I retailer non lo dicono ufficialmente ma tra gli operatori virtuali “sleali” identificano, in particolare, Amazon che la Commissione europea dovrebbe, a breve, condannare a restituire al Lussemburgo aiuti di Stato illegittimi per via di un controverso accordo fiscale con il Granducato, dove la società americana ha stabilito la sede legale e paga le imposte. In Italia, secondo la guardia di finanza, Amazon avrebbe evaso 130 milioni di Ires nel periodo 2009-2014 utilizzando “una stabile organizzazione occulta operante in Italia”.

«Non partecipare all’imposizione fiscale - ha rincarato la dose Francesco Pugliese, ad di Conad - è un elemento di discriminazione e differenziazione. Le imposte vanno pagate equamente da tutti i player. E nei Paese dove si ha una stabile organizzazione».

La digitalized economy è un matassa aggrovigliata in mano all’Ocse: l’obiettivo è un’armonizzazione globale. Ma le raccomandazioni finali sono attese solo per il 2020. Non potendo aspettare i tempi della concertazione internazionale, alcuni grandi Paesi europei (Italia, Germania, Francia e Spagna) stanno cercando di mettere a punto norme fiscali generali minime per l’economia digitale.

Ma l’asimmetria competitiva, secondo i distributori, si estende anche alle regole che garantiscono la centralità della concorrenza. «Oggi le piattaforme di e-commerce sono attive tutto il giorno per 364 giorni l’anno - ha sottolineato Santambrogio - mentre ai retailer fisici vengono imposti limiti di ogni genere da Regioni e Comuni nonostante il “Salva Italia” e il “Cresci Italia”: ogni Regione ha le sue regole e l’imprenditore è costretto a calibrare l’offerta a seconda del territorio. Non vogliamo le aperture senza limiti, ma la possibilità di poterlo fare; i limiti alle promozioni e i saldi sono ferrivecchi da eliminare, ma oggi le regole del sottocosto e delle promozioni per il non food riguardano solo i negozi fisici e non gli e-retailer».

«Vanno eliminati anche tutti i monopoli e le rendite - aggiunge Pugliese - per esempio nei settori dei farmaci e dei carburanti. C’è un deputato del Pd che vorrebbe bloccare le nuove licenze nelle parafarmacie: cioè equivale a salvaguardare vecchie posizione di rendita e penalizzare i consumatori».

Il secondo punto del Manifesto della distribuzione moderna riguarda il rispetto della legalità e della certezza del diritto, contro la contraffazione e l’abusivismo. «In alcuni Comuni - ha detto il presidente di Federdistribuzione Giovanni Cobolli Gigli - la polizia locale non è abbastanza determinata nel reprimere l’abusivismo». Mentre Albino Russo, dg di Coop Italia, ha osservato che alcuni operatori «al Sud non pagano correttamente i dipendenti e si evade il fisco. Inoltre si dà accesso a investimenti che non avrebbero senso».

Gli altri tre punti del Manifesto si soffermano sulla politica di rilancio dei consumi, sugli incentivi per gli investimenti nel rinnovo dei negozi e sulla necessità di avere regole semplici e chiare, coordinando i controlli di diversi organismi.

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