Mondo

Wall Street, chi vince e chi perde con la riforma fiscale di Trump

  • Abbonati
  • Accedi
STATI UNITI

Wall Street, chi vince e chi perde con la riforma fiscale di Trump

(Reuters)
(Reuters)

Quali effetti avrà sulle singole azioni quotate a Wall Street la riforma fiscale di Trump, appena approvata dal Senato? Detto altrimenti: quali saranno i titoli che beneficeranno più degli altri della riduzione dal 35% al 20% della corporate tax?

La domanda non è oziosa: il sistema fiscale americano rappresenta infatti un'intricata giungla di agevolazioni, esenzioni e trattamenti tributari ad hoc concessi alle singole compagnie, frutto del lavoro degli infaticabili lobbisti in azione a Washington. Inoltre esiste una concorrenza fiscale all'interno degli stessi States, con piccoli “paradisi” come il famigerato Delaware (ma anche Nevada, South Dakota e Florida) che contribuiscono a limare ulteriormente il carico tributario.

Il risultato, secondo un recentissimo report diffuso da Credit Suisse, è che in media le azienda statunitensi dello S&P500 pagano il 26,2% di imposte sugli utili anziché il 35 per cento. Ma anche questa è una media di Trilussa, poiché il carico fiscale effettivo spazia dal macroscopico 43,4% di Amazon al microscopico 2,1% di Electronic Arts (videogiochi, quelli di Fifa) o al 4,5% di Netflix. Ne consegue che dalla riforma tributaria targata Trump guadagna solo chi oggi paga più del 20% di imposte sui profitti, mentre ovviamente ad aziende come Xerox (che versa appena il 7,5% effettivo di tasse) o Hewlett Packard (8,9%) il taglio della pressione fiscale voluto dal fulvo presidente non fa né caldo né freddo.

In ogni caso l’effetto complessivo della riforma Trump, se attuata dal prossimo anno, porterebbe il consensus sugli utili per azione medi da 146 a 180 dollari, spiega Credit Suisse: «un beneficio che non è stato ancora del tutto scontato dal mercato», sottolinea il report. Certo, la riforma è stata la benzina del recente boom di Wall Street ma «sembra sensato attendersi un residuo effetto positivo sull’azionario Usa in queste settimane che vanno verso l’approvazione finale - nota Giuseppe Sersale, strategist di Anthilia Capital Partners - in particolare se si andrà verso una riduzione immediata delle aliquote, come prevede la Camera».

Il tutto va comunque preso con le molle, perché non è ancora chiaro quanta liquidità verrà rimpatriata e quali saranno gli effetti del ritorno dei capitali su multipli di Borsa, fusioni e acquisizioni, buybacks e consumi. Ma nell’incertezza di fondo che avvolge la Trumpnomics, Credit Suisse cerca comunque di stilare una lista di “sommersi e salvati” della riforma.

Vediamo cosa avverrà ai settori. I più “bastonati” dall’imposta sugli utili attuale risultano essere il retail, le telecomunicazioni, i servizi industriali e le utilities, tutti al di sopra del 31%. Mentre al contrario il fisco è particolarmente clemente con i trust di investimento immobiliare (appena il 3,5% medio di corporate tax pagata), l’energia, l’automotive, la farmaceutica, il biotech e i software: tutti settori al di sotto della trumpiana soglia del 20%.

Strano ma vero, anche all’interno dei singoli settori ci sono enormi differenze. Nel comparto media, per esempio, per una Comcast che paga tasse effettive sul 36,1% dei profitti c’è una Viacom che è riuscita ad abbassare il proprio carico fiscale al 19,6%. Amazon si ritrova con una corporate tax al 43,4% mentre la cugina Netflix sorride con il 4,5%, quasi un decimo del colosso fondato da Bezos. Colgate-Palmolive paga il 34,3% e Procter & Gamble il 24,4%, dieci punti percentuali secchi in meno.

Attenzione però, perché la riforma fiscale premierà i tartassati. Nel mondo della Trumpnomics gli ultimi saranno i primi: chi oggi paga più imposte domani avrà maggiori benefici dall’aliquota ribassata al 20%. Per la gioia dei piccoli e grandi azionisti che avranno investito sui rispettivi titoli. Salvo colpi di scena che il buon Trump non fa mai mancare al suo affezionato pubblico.

© Riproduzione riservata