Le novità sono tutte arrivate a ottobre. La riunione Bce di dicembre, se non fosse per le nuove proiezioni macroeconomiche dello staff, potrebbe apparire un incontro - e una conferenza stampa - di pura “manutenzione” delle aspettative. La riunione di ottobre ha definito quello che accadrà da gennaio fino a settembre 2018, con la prosecuzione degli acquisti di titoli (il quantitative easing) a un ritmo meno intenso: 30 miliardi al mese rispetto agli attuali 60, confermando che i tassi saranno toccati ben oltre la fine del programma.
Euro più stabile
Le aspettative di una normalizzazione più precoce, che pure si erano diffuse sui mercati nei mesi precedenti alterando le condizioni monetarie di Eurolandia, sono andate quindi deluse. L’andamento del cambio effettivo sembra essersi stabilizzato: dopo il lungo rialzo della prima metà dell’anno e la limitata correzione nelle settimane precedenti la decisione sul quantitative easing - dopo la correzione delle aspettative operata dal presidente Mario Draghi - l’euro, nei confronti delle valute dei principali partner, si è stabilizzato a un livello di poco inferiore alla media di lungo periodo.
Tassi a breve in flessione
Non si può dire, però, che non sia cambiato nulla. La curva dei rendimenti si è leggermente spostata verso l’alto per le scadenze comprese tra i due e i 30 anni, mentre è scivolata verso il basso, e in modo drammatico, nelle scadenze più brevi, proseguendo una tendenza iniziata all’inizio dell’anno. Sarà interessante capire quindi qual è la valutazione delle condizioni monetarie di Eurolandia svolta dal presidente e se la forte flessione dei tassi a breve, solo marginalmente toccati dagli acquisti di titoli (corporate), sta alimentando la polemica tra i sostenitori e i critici del quantitative easing.
Inflazione ancora debole
La diagnosi dell’inflazione non dovrebbe invece riservare sorprese. Resta sicuramente bassa: 1,5 a novembre, con un’inflazione core all’1,3%. Eurolandia è dunque lontana dall’obiettivo del 2%. Le proiezioni della Bce di settembre indicano però un’ulteriore rallentamento della dinamica dei prezzi: l’inflazione media annua del 2018 dovrebbe calare fino all’1,2%, per poi tornare all’1,5% nel 2019. Le stime di dicembre potrebbero cambiare, ma non si può certo dire che la Banca centrale europea sia colta di sorpresa dalla persistenza dell’inflazione a livelli relativamente bassi.
Una «curva» che non risponde
Draghi continuerà quindi a manifestare fiducia sul fatto che il calo della disoccupazione, sia pure lentamente, si trasformerà in un aumento dei prezzi. Nella sua formulazione più semplice questa relazione - la curva di Phillips - è apparsa più solida che altrove (negli Stati Uniti, per esempio, è invertita), ma è la sua stabilità è tipicamente di breve periodo. In Eurolandia, inoltre, dominano le aspettative di inflazione che restano piuttosto moderate.
I prestiti non decollano
In ogni caso, la prosecuzione del quantitative easing e la flessione dei tassi a breve, trova una sua giustificazione, e non solo nell’andamento dell’inflazione, ma anche in quello dei prestiti alle imprese non finanziarie che - al di là delle fluttuazioni stagionali - ha sicuramente interrotto con il varo del programma di acquisti di titoli la sua flessione, ma non ha ancora trovato slancio. Nelle statistiche della Banca dei regolamenti internazionali, elaborate per valutare il ciclo finanziario e i rischi collegati, il gap tra il rapporto crediti/pil e il rapporto crediti/pil potenziale è ai massimi e non desta preoccupazione; e anche l’andamento del prezzo degli immobili, sia pure pur vivace, resta in termini reali al livello del 2005, quasi il 10% al di sotto dei massimi del 2007.
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