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Puigdemont, candidato in Catalogna dall’esilio belga

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L’ESILIO IN BELGIO

Puigdemont, candidato in Catalogna dall’esilio belga

Il presidente della Catalogna Carles Puidgemont . (Epa)
Il presidente della Catalogna Carles Puidgemont . (Epa)

BRUXELLES - Vi erano tempi nei quali chi era candidato all’elezione doveva fare campagna elettorale sul terreno, stringere mani, pronunciare discorsi, e soprattutto ascoltare gli elettori. Oggi, nell'era di Twitter, Facebook e Skype, il destituito presidente della Catalogna può sperare di essere eletto dall'esilio belga. Alla vigilia del voto nella regione spagnola, che nei fatti deve scegliere se confermare il desiderio separatista, Carles Puigdemont è ovunque, almeno su Internet.

Negli ultimi giorni ha partecipato a comizi in videoconferenza, concesso interviste alla carta stampata, parlato alla radio, e scritto su Twitter. All'inizio di dicembre, ha presenziato qui a Bruxelles a una dimostrazione nel quartiere delle istituzioni comunitarie, a cui hanno partecipato, secondo la polizia belga, 45mila catalani. Nonostante divisioni tra gli indipendentisti, il nuovo partito di Carles Puigdemont, Junts per Catalunya, si difende nei sondaggi in vista del voto di domani.

Catalogna al voto, in bilico maggioranza indipendentista

Ovunque su Internet (su Twitter conta 616mila follower, su Facebook 201mila contatti), ma tutto sommato discreto in Belgio. L'uomo politico è arrivato a Bruxelles il 27 ottobre dopo che Madrid lo aveva accusato di sedizione, ribellione e malversazione per via della sua dichiarazione di indipendenza della Catalogna. Da allora, la Corte suprema spagnola ha deciso a sorpresa di annullare il mandato d'arresto europeo a suo carico, tanto che le autorità belghe hanno archiviato la pratica.

«A quanto pare – spiega Beatriz Navarro, corrispondente di La Vanguardia a Bruxelles – Carles Puigdemont cambia località regolarmente. Secondo le ultime informazioni vivrebbe nei pressi di Lovanio (…) È stato visto al Teatro dell'Opera di Gand, visitare una biblioteca firmata da architetti catalani, e partecipare a una manifestazione di beneficienza a Bruxelles». Tempo fa è corsa voce che potesse tornare in Catalogna il giorno del voto, in un clamoroso colpo di scena, ma così non sembra accadrà.

L’esperienza di Carles Puigdemont, 55 anni, è al tempo stesso banale e originale. È banale perché l'esilio è una scelta che nella storia è stata presa da molti, soprattutto in Belgio, storicamente terra d'asilo. Nel 1845, Karl Marx si trasferì a Bruxelles dopo essere stato cacciato prima dalla Germania e poi dalla Francia per le sue idee troppo rivoluzionarie. Fu espulso nel 1848 perché i governanti belgi temevano che il morbo della rivoluzione francese attecchisse anche nel loro paese.

Nel 1861, fu la volta di Victor Hugo che trovò rifugio a Bruxelles, scappando da Napoleone III. Lo scrittore credeva nei valori democratici, e definiva l'imperatore “le petit”, il piccolo. Sempre nell'Ottocento giunse in Belgio Lev Kibalchich, un ufficiale dell'esercito russo anti-zarista che prima di installarsi a Bruxelles assieme alla moglie vagò per l'Europa “alla ricerca di un tetto a buon mercato e di buone librerie”. Il figlio, che assunse il nome di battaglia di Victor Serge, diventò un famoso anarchico e anti-bolscevico.

Vissero in questo paese anche gli scrittori francesi Arthur Rimbaud, Paul Verlaine e soprattutto Charles Baudelaire, di cui una esposizione in questi giorni in un museo di Bruxelles ricorda i tanti versi diffamanti nei confronti di una capitale che detestava. Indebitato in Inghilterra e separatosi da Augusta Leigh, Lord Byron si installò anch'egli a Bruxelles, nel 1816. Vi arrivò accidentalmente, per via di un guasto alla carrozza mentre attraversava il paese. Vi rimase poche settimane.

A differenza di Puigdemont, altri leader pur perseguiti penalmente in patria, come i pakistani Benazir Bhutto e Pervez Musharaf, decisero di tornare a casa per partecipare alle elezioni. Non per altro, Oriol Junqueras, il principale indipendentista in carcere a Madrid, è stato pungente: «Io non mi nascondo – ha detto alla radio Rac 1, riferendosi alle scelte del presidente destituito della Catalogna –. Mi assumo le mie responsabilità, le mie decisioni, i miei sentimenti, e la mia volontà».

A molti la decisione di Carles Puigdemont di rifugiarsi in Belgio è sembrata un atto vile e poco dignitoso. Ad altri, invece, è parsa una scelta di clamorosa resistenza al potere di Madrid. In un primo tempo, Junts per Catalunya soffriva nei sondaggi. Oggi è quasi testa a testa con il rivale indipendentista Esquerra Republicana de Catalunya (di cui è presidente lo stesso Junqueras). In questo senso, il voto catalano di domani sarà anche un test sulla presunta onnipotenza di Internet in politica.

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