La Catalogna è spaccata in due. Il governo di Madrid dà ormai per vinta ogni velleità di indipendenza, ma la crisi politica e istituzionale è tutt’altro che risolta. E anche guardando solo ai prossimi giorni, a quello che potrà accadere dopo il voto, ai negoziati tra partiti e alle divisioni interne ai due fronti, quello indipendentista e quello unionista, è quasi impossibile fare previsioni. Questi sono gli scenari più probabili oggi. Escludendo quello più facile ma più preoccupante, ovvero l’eventualità di un Parlamento talmente frammentato da obbligare i catalani a nuove elezioni anticipate.
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Un governo unionista a Barcellona. Il premier spagnolo Mariano Rajoy crede in una vittoria del fronte unionista. Non tanto grazie ai voti dei suoi Popolari ma grazie alla crescita di Ciudadanos, la formazione di Albert Rivera che con la giovane candidata, Ines Arrimadas, potrebbe diventare il primo partito della regione. Servirebbero poi i seggi dei Socialisti che tuttavia hanno altre aspirazioni e, pur appoggiando Rajoy sul ripristino della legalità contro la Generalitat ribelle, hanno sempre sostenuto la necessità di una soluzione concordata. Per avvicinarsi a una maggioranza, comunque risicatissima, il fronte unionista dovrebbe poi aggiungere i voti di Podemos e della lista locale Catalunya en Comù. Ma non è immaginabile, nemmeno nella confusa politica catalana, un governo di Ciudadanos e Popolari sostenuto dal movimento anti-sistema che da anni ha individuato in Rajoy l’origine dei mali, del Paese e della Catalogna.
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Una nuova maggioranza degli indipendentisti. Assieme, i partiti nazionalisti catalani, potrebbero raggiungere la maggioranza, se non nei voti, almeno nei seggi nella nuova Assemblea catalana. Il voto, con i meccanismi della legge elettorale, confermerebbe in questo modo la composizione del Parlamento sciolto da Rajoy. Ma i partiti che vogliono la secessione sono divisi: il centrista Carles Puigdemont, fuggito in Belgio, ha fatto campagna da solo e in aperto contrasto con Oriol Junqueras, il leader della Sinistra repubblicana che è invece stato incarcerato con l’accusa di ribellione. Sembra fuori dai giochi l’estrema sinistra della Cup. Inoltre, come potrebbero Puigdemont o Junqueras presiedere la Generalitat da Bruxelles o dal carcere. L’articolo 155 e il commissariamento della Catalogna dovrebbero rientrare con l’elezione del nuovo governatore regionale. «Comunque vada - dice Rajoy - tutti hanno capito come funziona l’articolo 155 e nessuno può più permettersi di sfidare le leggi spagnole, sfruttando le istituzioni della regione per inseguire i propri sogni».
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Un governo di mediazione. Le elezioni di oggi potrebbero assegnare un ruolo decisivo ai Socialisti o a Podemos. Entrambi i partiti potrebbero infatti tentare di formare un governo di minoranza trovando l’appoggio tra i partiti nazionalisti o nel fronte unionista. I Socialisti a Madrid appoggiano il premier Rajoy ma a Barcellona hanno già fatto capire che sarebbero pronti ad accogliere i partiti indipendentisti (ipotizzando anche l’indulto per Puigdemont e Junqueras) nel nome di una riconciliazione catalana e con l’obiettivo di fare pressioni su Rajoy perché si arrivi a una riforma della Costituzione spagnola in senso più federalista. Podemos, che con Catalunya en Comù esprime già il sindaco di Barcellona, Ada Colau, potrebbe avere maggiore presa sui partiti nazionalisti ma risulta meno adatto a mediare.
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