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Khamenei accusa i nemici dell’Iran. Gli Usa: «Intervenga…

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almeno 23 morti negli scontri

Khamenei accusa i nemici dell’Iran. Gli Usa: «Intervenga l’Onu»

L’ambasciatrice Usa all’Onu Nikki Haley ha annunciato che chiederà una sessione di emergenza alle Nazioni Unite e al consiglio dei diritti umani a Ginevra sull’Iran.
Le proteste in Iran sono «completamente spontanee», secondo Haley che ha definito «ridicole le tesi secondo cui sarebbero programmate da forze esterne». Quanto sta accadendo in queste ore a Teheran è al centro della politica statunitense. La Casa Bianca ha chiesto all’Iran di rispettare i diritti dei cittadini, stando a quanto detto dalla portavoce Sarah Sanders nel suo briefing quotidiano. Trump comunque non ha ancora preso la sua decisione finale sulla firma, entro fine gennaio, delle esenzioni delle sanzioni previste dall’accordo sul nucleare.

Ancora sangue in Iran, con le proteste antigovernative che non si fermano: secondo i media ufficiali sono almeno 23 le persone che hanno perso la vita finora negli scontri. Solo la notte scorsa nove persone sono state uccise nel corso delle proteste, riporta la Tv di Stato del Paese. Arrestata tra gli altri la ragazza che si era tolta il velo. Gli scontri tra manifestanti e forze di polizia in Iran stanno avvenendo in quelle che sono le manifestazioni più accese e diffuse dal 2009, quando gli iraniani scesero in massa nelle strade per protestare contro l’elezione del presidente Mahmoud Ahmadinejad. Il bilancio degli scontri è così salito a 13 morti e numerosi feriti.

La risposta delle forze di sicurezza si sta facendo sempre più dura. Vittime a parte, sono circa 450 i manifestanti arrestati da sabato scorso, riferisce il vicegovernatore per la sicurezza di Teheran, Ali Ashgar Nasserbakht, citato dall’agenzia semiufficiale iraniana Ilna. Secondo questo bilancio, 200 persone sono state arrestate sabato, 150 domenica e 100 nella giornata di ieri. Le proteste contro il carovita, sfociate poi in manifestazioni antigovernative, sono iniziate mercoledì 27 dicembre.

La Guida suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, è scesa a sua volta in campo: nemici dell’Iran «hanno rafforzato l’alleanza per colpire le istituzioni islamiche» del Paese durante i recenti incidenti, ha dichiarato. «Con i diversi strumenti come denaro, armi, politica e sistemi di sicurezza, i nemici hanno provato a minare il sistema», ha aggiunto.

Intanto il capo della Corte Rivoluzionaria della provincia di Teheran, Moussa Ghazanfarabad, ha dichiarato che alcune delle persone arrestate durante le proteste nel Paese potrebbero essere accusate di “Muharebeh” (guerra contro Dio), un reato che prevede la pena di morte.

Scoppiate giovedì scorso nella città di Mashad come proteste contro il caro vita e la corruzione, le manifestazioni si sono diffuse a macchia d’olio in molte città e hanno subito assunto una connotazione politica contro il Governo, il presidente Hassan Rouhani e perfino la potente guida spirituale della Repubblica islamica: l’ayatollah ultraconservatore Ali Khameni.

Ancora proteste in Iran

Rouhani invita alla calma
Al contrario di Ahmadinejad, che aveva subito reagito con il pugno di ferro contro le proteste popolari del 2009, il presidente Rouhani, conosciuto come un clerico moderato e rifomatore, ha riconosciuto in televisione il diritto a manifestare evitando però la violenza. «Il popolo iraniano è libero di manifestare», basta che le proteste «siano autorizzate e legali» e che non si trasformino in violenza. «Una cosa è la critica - ha sottolineato - un’altra la violenza e la distruzione della proprietà pubblica». Rouhani ha tuttavia ammesso che il popolo non è solo preoccupato per motivi economici, ma anche «per la corruzione e la trasparenza».

Incontrando, però, un gruppo di parlamentari il presidente ha però fatto un’appello all’unità tra «governo, parlamento, giustizia e esercito» per tutelare gli «interessi nazionali» contro un «piccolo gruppo che grida slogan illegali, insulta la religione e i valori della rivoluzione islamica». «Ora - ha detto - dobbiamo concentrarci sull’importanza del sistema, della rivoluzione, degli interessi nazionali, della sicurezza e della stabilità della regione».

Trump attacca di nuovo il regime
L’imperativo per il regime iraniano è ora contenere le proteste e fare in modo che non si allarghino a un punto tale da non poter esser più controllate.
Proprio per evitare i raduni di strada, le autorità hanno bloccato, anche se «solo temporaneamente», l’accesso ai social network, in particolare Telegram e Instagram.
Dopo la dura condanna di sabato, il presidente americano Donald Trump si è rifatto sentire via Twitter. «L’Iran, il maggior sponsor mondiale del terrorismo che ogni ora commette numerose violazioni dei diritti umani, ha adesso chiuso Internet in modo che i pacifici dimostranti non possono comunicare. Non è una cosa buona!».
Le nuove sanzioni minacciate nei mesi scorsi da Trump contro l’Iran potrebbero colpire i Guardiani della rivoluzione, una forza che risponde solo al leader supremo, l'ayatollah Ali Khameney: in tal modo si eviterebbe di danneggiare gli iraniani che stanno manifestando. Lo scrive il Wall Sreet Journal, citando dirigenti Usa. L’amministrazione Trump, intanto, sta facendo pressioni su
vari Paesi per sostenere i diritti degli iraniani ad attuare proteste pacifiche, sempre secondo le stesse fonti.

Immediata la replica di Rouhani: «Quest’uomo in America vuole oggi manifestare simpatia verso il nostro popolo ma ha dimenticato che pochi mesi fa chiamava l’intera nazione iraniana una nazione di terroristi, la nazione del terrore».

Il regime continua tuttavia a precisare che le forze di polizia non stanno utilizzando armi da fuoco. L’agenzia Mehr scrive che la protesta di Doroud (due vittime sabato notte) - una città circa 325 chilometri a sudovest di Teheran - non era stata autorizzata. «Il raduno doveva finire in modo pacifico - ha commentato il vice capo della sicurezza del governatore della provincia, Habibollah Khojastepour - ma sfortunatamente questo non è successo a causa della presenza di agitatori. Nessuno sparo è stato esploso dalla polizia locale e dalle forze di sicurezza.

Rouhani, il riformatore mancato
Agli occhi di molti iraniani l’uomo della speranza che aveva posto il rilancio dell’economia al centro del suo programma elettorale, dichiarando anche guerra alla corruzione, si è rapidamente trasformato nel riformista mancato.
Alle elezioni presidenziali dello scorso maggio, la popolazione lo aveva riconfermato a grande maggioranza. Per quanto fosse un clerico, per molti elettori era la sola, accettabile alternativa rispetto a candidati ben più conservatori sostenuti dalla leadership degli ayatollah.
Sono trascorsi soltanto sette mesi e la speranza ha ceduto il posto alla delusione. La protesta, da sociale, ha presto virato verso la politica e con slogan durissimi.

Economia: un boom senza benessere
L’accordo sul dossier nucleare iraniano, siglato nell’estate del 2015 sotto la supervisione dell’allora presidente americano Barack Obama, aveva poi portato, all’inizio del 2016,alla rimozione delle sanzioni internazionali contro l’Iran, incluso anche l’embargo petrolifero europeo scattato il 1° di luglio del 2012. L’economia era così uscita da una profonda recessione durata almeno due anni, ed aveva cominciato a correre. Merito, soprattutto, della sorprendente ripresa del settore petrolifero.
Le esportazioni di greggio, che nei periodi più bui erano scese sotto i 700mila barili al giorno (con una media di circa un milione di barili,) sono balzate a due milioni di barili al giorno in soli dodici mesi e ora si aggirano sui 2,3 milioni. La produzione petrolifera è più che raddoppiata arrivando agli attuali 3,8 milioni di barili.
L’economia ne ha inevitabilmente risentito, in positivo. Nel primo semestre del corrente anno fiscale (2017-2018) il Pil cresciuto del 5,6% per cento. Il settore dei servizi ha registrato un incremento del 7, 2 per cento. Il Fondo monetario internazionale, in un recente rapporto, ha stimato per il 2018 e 2019 una crescita rispettivamente del 4 e del 4.3 per cento.

Ci sarebbe di che rallegrarsi, ma in verità si è trattato di un boom senza benessere. In questo Paese che mira a divenire la potenza regionale del Golfo, la classe media si è assottigliata, la disoccupazione resta molto alta: quella ufficiale è al 12%, ma quella reale è molto più alta. E a pagarne il costo sono le classi meno abbienti e i giovani (il cui tasso di disoccupazione sfiora il 30 per cento). La corruzione, endemica in Iran, ha poi frenato la distribuzione della ricchezza. Non esiste forse situazione peggiore di quella di un Paese con una forte crescita economica, potenzialmente ricco, dove la forza lavoro (700mila iraniani si affacciano ogni anno sul mercato del lavoro) rimane in buona parte ai margini. Per i giovani laureati è una situazione inaccettabile. E la frustrazione ha subito ceduto il posto alla rabbia.

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