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Islanda, la parità di stipendio tra uomo e donna diventa legge

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gender pay gap

Islanda, la parità di stipendio tra uomo e donna diventa legge

Festeggiamenti per il nuovo anno a Reykjavik (Reuters)
Festeggiamenti per il nuovo anno a Reykjavik (Reuters)

In Islanda la parità di stipendio tra uomo e donna è legge: aziende e uffici pubblici con più di 25 dipendenti dovranno infatti, dimostrare che le donne sono pagate quanto i loro colleghi. Per chi non adenpie allea norma è prevista un’ammenda.

Un passo cheè frutto di una cultura e di un cammino che il Paese sta facendo nella direzione di una maggiore uguaglianza di genere. «È il momento giusto per fare qualcosa di radicale: i diritti umani sono diritti uguali per tutti. Dobbiamo fare in modo che gli uomini e le donne godono di pari opportunità sul luogo di lavoro. È nostra responsabilità adottare ogni misura per raggiungere questo obiettivo» aveva dichiarato tempo fa Thorsteinn Viglundsson, il ministro dell’Uguaglianza e degli Affari sociali. Nel mese di ottobre, poi, migliaia di donne in tutta l’Islanda avevano abbandonato il posto di lavoro alla stessa ora (le 2,38) per protestare contro la differenza di paga rispetto agli uomini. Insomma, la coscienza sociale di qualcosa che va cambiato è maturata negli anni,. D’altra parte l’Islanda non è nuova a misure che promuovano l’uguaglianza tra uomo e donna tanto che negli ultimi nove anni è stata al primo posto del Global Gender Gap Report stilato annualmente dal World Economic Forum. In particolare il report sottolinea come il Paese sia il top performer in fatto di partecipazione politica ed economica delle donne. Per quel ceh riguarda la differenza salariale, invece, l’Islanda appariva al quinto posto nell’edizione relativa al 2017.

Il Paese aveva già, da diverse decadi, una legge che prevedeva la parità salariale fra uomini e donne, ma il gap è comunque sopravvissuto nel tempo. così il Governo ha deciso di introdurre una nuova misura che mettesse a nudo le differenze e permettesse così di sanzionare eventuali discriminazioni. Discriminazioni non facili da dimostrare dal punto di vista giuridico ed econometrico, a meno che non ci si attenga matematicamente ai valori delle buste paga.

La situazione italiana

La differenza salariale tra uomini e donne è un problema comune a tutti i Paesi, dagli Stati Uniti, dove le donne guadagnano in media 83 cents ogni dollaro guadagnato da un uomo, all’Italia, dove la differenza di retribuzione è stimata attorno al 12,7 per cento. Diverse le iniziative a riguardo chevanno dalla “volontarietà” degli Stati Uniti dove l’amministrazione Obama ha lanciato nel 2009 il Lilly Ledbetter Fair Pay Act, cui ha fatto poi seguito The White House Equal Pay Gap del 2016. Una richiesta alle aziende di rendere trasparenti le politiche di remunerazione interne e i dati relativi agli stipendi con spaccato di genere; all’iniziativa normativa tedesca, approvata nel marzo 2017, che prescrive per le imprese con oltre 200 impiegati di render conto, a chi vuole saperlo, di quanto viene pagato un collega per la stessa prestazione lavorativa.

E in Italia? In Italia, naturalmente, la legge prevede la parità retributiva fra uomini e donne. Non solo. Nel nostro Paese è in vigore anche l’articolo 46 del Decreto Legislativo 11 aprile 2006 n. 198 (ex art. 9 L. 125/91), (modificato dal D. Legislativo 25 gennaio 2010 n. 5 in attuazione della direttiva 2006/54/CE relativa al principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione). Articolo che prevede che «Le aziende pubbliche e private che occupano oltre cento dipendenti sono tenute a redigere un rapporto almeno ogni due anni sulla situazione del personale maschile e femminile in ognuna delle professioni e in relazione allo stato di assunzioni, della formazione, della promozione professionale, dei livelli, dei passaggi di categoria o di qualifica, di altri fenomeni di mobilità, dell’intervento della Cassa integrazione guadagni, dei licenziamenti, dei prepensionamenti e pensionamenti, della retribuzione effettivamente corrisposta».

L’Islanda, quindi, non ha inventato nulla che noi non avessimo già. La questione è solo far applicare le norme una volta che sono state approvate dal Parlamento.

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