È un copione che si ripete da tempo. Una pattuglia di caccia israeliani entra nello spazio aereo libanese (qualche volta anche in quello siriano), bombarda un deposito di armi in Siria o un convoglio che trasporta munizioni, e poi si ritira. Damasco da parte sua insorge, minaccia azioni di rappresaglia ma poi non fa seguire i fatti alle parole.
I precedenti negli ultimi anni sono numerosi. L'ultimo, lo scorso 22 dicembre, quando il regime siriano aveva accusato i caccia israeliani di aver sparato cinque missili dallo spazio aereo libanese contro una base militare che l'Iran sta costruendo in Siria, a sud di Damasco.
Questa volta, tuttavia, vi è un elemento nuovo che, se confermato, potrebbe innescare una pericolosa escalation. L'agenzia di stampa Sanaa, vicina al regime, ha reso noto in un comunicato che l'esercito siriano avrebbe abbattuto un jet israeliano che insieme ad altri caccia aveva attaccato postazioni militari vicino a Damasco. Lo stesso comunicato riferisce che l'esercito siriano avrebbe abbattuto anche un missile terra aria sparato dalle alture del Golan, mentre altri razzi sarebbero caduti su siti militari causando danni materiali in un deposito di armi nei pressi di Al-Katifa, sobborgo est di Damasco. Ma la mancata conferma ufficiale da parte del regime siriano induce a essere prudenti.
Nessun allargamento del conflitto
Non è l'inizio di un allargamento del conflitto. Per una semplice ragione. Nonostante i raid aerei, Israele non è intenzionata ad essere invischiata nel pantano siriano. Tuttavia Gerusalemme non ha mai cessato di esprimere le sue preoccupazioni sui trasferimenti di armi – presumibilmente iraniane ma anche russe – che finirebbero dalla Siria al movimento sciita libanese di Hezbollah, alleato di Damasco e dell'Iran. Il premier israeliano Benjamin Netanyah ha sempre ribadito la sua linea rossa: niente pericolose armi in mano agli Hezbollah, altrimenti l'esercito reagirà per impedirlo, come peraltro ha già fatto numerose volte.
Il rafforzamento militare di Hezbollah
Non è un segreto che dalla guerra dell'estate del 2006, che vide Israele e gli Hezbollah impegnati in un duro confronto militare, l'arsenale militare del Partito di Dio si è notevolmente potenziato: più armi – si parla di migliaia di missili – e più letali. Già nel 2012 l'esercito israeliano aveva spiegato come Hezbollah si stesse rafforzando con i potenti razzi M600, Scud B e D, capaci di arrivare ovunque in Israele.
Qualche anno più tardi lo stesso ministro della Difesa Avidor Lieberman lo aveva ammesso apertamente: dall'inizio della guerra civile in Siria, nel 2011, l'aviazione israeliana ha compiuto “centinaia di raid” contro obiettivi dell'esercito siriano e soprattutto di Hezbollah e dei Pasdaran iraniani. Si è trattato spesso di depositi di armi o convogli destinati ad Hezbollah.
Eppure nonostante le minacce, anche il regime siriano non appare desideroso di aprire un secondo fronte con Israele, proprio in un periodo in cui sta ottenendo significativi successi militari contro i ribelli dell'opposizione armata siriana. Damasco ha infatti riconquistato le regioni orientali della Siria, grazie al decisivo contributo dell'aviazione russa e delle milizie iraniane e degli Hezbollah. Non solo. E' riuscito, anche con il contributo della campagna militare internazionale guidata dagli Stati Uniti, ha sbarazzarsi del nemico più pericoloso: lo Stato islamico, ormai relegato al ruolo di gruppo terroristico minore frammentato in tante cellule clandestine nascoste nelle aree più desertiche.
La nuova e fondamentale battaglia dell'esercito siriano è ora diretta contro o i ribelli jihadisti (vicini ad Al-Qaeda) nella provincia di Idlib, a Nord-Ovest. E' qui che sta avvenendo in questi giorni una grande offensiva di terra. Un'altra offensiva, seppure minore, sta avvenendo simultaneamente contro l'ultima sacca ribelle a Est di Damasco, un'area dove operano gruppi legati anche all'Arabia Saudita, primi tra tutti la temibile Jaysh al-Islam. Per Damasco aprire un altro fronte non sarebbe per ora opportuno. Lo stesso per Israele.
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