NEW YORK - Sono vent'anni che un presidente americano in carica non partecipa a Davos, alla kermesse di ricchi e potenti del mondo che sfoggiano coscienza sociale e impegno globale sulle immacolate nevi della Svizzera. E poteva sembrare improbabile che a sfatare il tabù al World Economic Forum potesse presentarsi l’attuale inquilino della Casa Bianca, con la sua vocazione nazional-populista e la sua ira al cospetto del resto del pianeta. Invece Donald Trump ha sorpreso tutti ancora una volta: si recherà nel pittoresco villaggio elvetico.
Chi si aspetta conversioni sulle piste delle Alpi tra il 23 e il 26 gennaio potrebbe però rimanere deluso. L'evento, salvo ulteriori sorprese, si preannuncia quasi come uno “scontro di civiltà”: il tema non potrebbe essere più lontano dalla mentalità del leader americano, che tacciato di isolazionismo non ha mai temuto di predicare quantomeno scetticismo per politiche e organizzazioni multilaterali sul fronte politico come militare e commerciale, dove ha corteggiato un neoprotezionismo. Il tema ufficiale, dicevamo? «Creare un futuro condiviso in un mondo fratturato».
Ancora: «Il contesto globale è cambiato drammaticamente - scrive il World Economic Forum nella sua presentazione - Incrinature geo-strategiche sono riemerse su molteplici fronti con ampie conseguenze politiche, economiche e sociali. La Realpolitik non è più soltanto un relitto della Guerra Fredda. Prosperità economica e coesione sociale non sono la medesima cosa». In un affondo che potrebbe colpire direttamente Trump: «Politicamente, nuove e divisive narrative stanno trasformando la governance». Sotto il profilo economico la denuncia riguarda il tentativo di «preservare i benefici dell'integrazione globale mentre si limitano gli obblighi comuni quali lo sviluppo sostenibile, la crescita inclusiva e la gestione della quarta rivoluzione industriale». Socialmente i cittadini «desiderano una leadership sensibile ma propositi comuni rimangono elusivi».
Per il Trump di America First, dunque, forse questa è diventata l'ennesima provocazione irresistibile, occasione per essere al centro dell'attenzione senza rinunciare al suo credo o anzi riaffermando, almeno sulla carta, i propri proclami: la portavoce della Casa Bianca, Sarah Huckabee Sanders, è parsa in queste ore alludere proprio a questo quando ha dichiarato che il presidente metterà in valigia senza remore alla volta di Davos il suo messaggio di “America First” da far avanzare tra i leader internazionali. Di più, al centro metterà la sua agenda per rafforzare «il business americano, le aziende americane, i lavoratori americani». Nessuna deviazione da quelle priorità, che verranno difese da una delegazione composta anche da esponenti senior dell'amministrazione.
Ma c'è anche chi spera di vedere un Trump diverso, affrancato dall'ombra dell'ex stratega della Casa Bianca Steve Bannon, caduto in disgrazia. Era lui infatti tra i più sanguigni critici degli incontri annuali che si tengono ormai dal 1971: li aveva definito il Partito di Davos. Dei privilegiati. Nemesi, a suo avviso, degli interessi nazionali e dei lavoratori.
Per evidenziare quanto sia stata imprevedibile la decisione del presidente di volare nella meta sciistica trasformata in snodo politico mondiale basta anche ricordare la reticenza di altri presidenti degli Stati Uniti. Il repubblicano Ronald Reagan partecipò più d'una volta a Davos, ma soltanto via collegamenti video. Il primo a presenziare all'appuntamento fu il democratico Bill Clinton, nel 2000 in occasione del trentesimo anniversario del summit e poi negli anni successivi.
Grandi assenti furono invece altri sia più recenti presidenti conservatori, George Bush e George W. Bush, che il predecessore progressista di Trump, Barack Obama. Adesso occorrerà aspettare per vedere se Trump ha altri assi nella manica, o sorprese nel cappello, in serbo per l’insolita scelta di volare a Davos. Quali interventi più concilianti e riflessivi nei confronti di partner e sfide globali. Oppure se dalle vette svizzere offrirà al mondo solo un'altra dose dell'America prima di tutto.
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