sofia
È
con nuove speranze che l’establishment comunitario ha accolto ieri un preliminare accordo di coalizione in Germania in vista di un nuovo governo democristiano-socialdemocratico. Al di là dei contenuti dell’intesa, favorevoli a una riforma della zona euro, il ritorno della Repubblica Federale alla stabilità politica è di per sé rassicurante. Lo sguardo ormai corre alle prossime elezioni italiane che restano una fonte di nervosismo e di incertezza a Bruxelles e nelle altre capitali.
Parlando ieri a Sofia, il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker si è rallegrato: «Sono molto contento» dell’esito delle trattative a Berlino tra Spd e Cdu-Csu. Ha definito l’accordo un contributo «positivo», «costruttivo», «orientato verso il futuro». Da Parigi, il presidente francese Emmanuel Macron si è detto «felice e soddisfatto del fatto che la cancelliera Angela Merkel possa avanzare verso un governo di grande coalizione che sarà utile (...) per l’Europa e per la Francia».
L’intesa annunciata ieri mattina al termine di una maratona negoziale giunge 110 giorni dopo le elezioni federali di settembre. In un primo tempo, la cancelliera democristiana ha tentato di negoziare un accordo di coalizione con i Verdi e i Liberali. Senza successo. La Cdu-Csu si è quindi girata verso l’Spd, trovando ieri una intesa per replicare un governo di grosse Koalition che ha già guidato la Germania nel 1966-1969, nel 2005-2009, e nel 2013-2017.
A Bruxelles piacciono due cose dell’intesa di ieri. La prima è l’idea di una grande coalizione, diventata in Europa una alleanza politica rassicurante. È ritenuta più stabile, capace di tenere a bada le ali più estremiste ed euroscettiche della scena politica. Il secondo aspetto è relativo al programma. L’intesa tra Spd e Cdu-Csu, 28 pagine in tutto, parte dalle questioni europee, è una prima anche in Germania. Mancano dettagli cruciali, ma l’accordo prevede di «rafforzare» e di «riformare» la zona euro.
I due partiti si dicono pronti a trasformare il Meccanismo europeo di Stabilità in un Fondo monetario europeo: per dare all’istituzione un ruolo nel controllo dei bilanci o per affidarle mansioni di salvataggio dei paesi in crisi? La questione resta aperta, e rischia di essere un difficile nodo da sciogliere, tanto il tema è controverso in molti paesi europei. «Vogliamo – si legge ancora nel documento – promuovere il controllo di bilancio e il coordinamento economico nell’Unione e nella zona euro».
Come detto, gli impegni sono vaghi, aperti a molte interpretazioni. Ma per ora all’establishment comunitario va bene così. Spiegava ieri l’entourage del presidente Juncker: «Si apre finalmente quella finestra di opportunità per riformare la zona euro che speravamo si aprisse in autunno dopo le elezioni francesi e le elezioni legislative tedesche». In dicembre, Bruxelles ha presentato le sue proposte di riforma dell’unione monetaria (in vista di decisioni entro giugno almeno sul completamento dell’unione bancaria).
Tra le misure illustrate dall’esecutivo comunitario, la trasformazione dell’Esm in Fme, come voluto dalla Germania, una linea di bilancio per la zona euro nel bilancio comunitario, e in futuro la nascita di un ministro delle Finanze dell’unione monetaria che sia al tempo stesso vice presidente della Commissione e presidente dell’Eurogruppo. Più ambiziose erano state le proposte del presidente Macron del settembre scorso nelle quali aveva parlato tra le altre cose di un vero e proprio bilancio della zona euro.
A questo punto, l’establishment comunitario si concentrerà sulle prossime elezioni italiane del 4 marzo. L’incerto esito del voto è fonte di grande preoccupazione. Fa paura l’instabilità politica. La speranza è che anche in Italia possa essere ricondotta a Palazzo Chigi una nuova grande coalizione, magari guidata dall’attuale premier Paolo Gentiloni, particolarmente apprezzato a Bruxelles per i toni calmi, le proposte realistiche, e il comportamento prevedibile.
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