Questo non glielo si può contestare. Donald Trump sta tenendo fede alle promesse elettorali, almeno in termini di politica estera regionale. Il Messico è sempre stato nel mirino del tycoon: il Muro e il Nafta i due obiettivi di breve periodo. Allungare il primo e smantellare il secondo. Costi quel che costi. E in effetti siamo al redde rationem. Peccato che ciò nuoccia a entrambi, al Messico e agli Stati Uniti.
A Città del Messico, tra gli ejecutivos (i manager) e gli analisti economici è impossibile trovare qualcuno che spezzi una lancia a favore del presidente americano. E qui, il grande Octavio Paz, poeta messicano, può essere citato a proposito: «La memoria è un presente che non finisce mai di passare», le minacce preelettorali di Trump si traducono in scelte politiche ed economiche ribadite ogni giorno.
L’economia messicana patirà un eventuale smantellamento del Nafta, eccome. Il Pil del 2017 è cresciuto solo del 2,5% e quello dell’anno in corso rallenterà con una previsione inferiore al 2%, secondo la maggior parte degli istituti di ricerca. Anche per effetto di queste incertezze.
Le provocazioni si susseguono, Trump ha detto in un’intervista al Wall Street Journal che il Messico continuerà a pagare un muro lungo il confine meridionale degli Usa e lo farà attraverso l’accordo di libero scambio nordamericano. «Potrebbero pagarlo indirettamente — ha spiegato — attraverso il Nafta. Facciamo un buon affare sul Nafta, diciamo, prenderò una piccola percentuale di quel denaro e andrà al muro».
Le rappresaglie
Comunque sia, la partita non è affatto chiusa, anche perché le rappresaglie che il Messico, gigante di 122milioni di abitanti, potrebbe attuare sono davvero pericolose e gli Stati Uniti ne patirebbero conseguenze gravi.
Il 2017 è stato un altro annus horribilis nella guerra dei Narcos. Con oltre 24.000 omicidi da gennaio a ottobre è stato considerato l’anno più violento. Sono le cifre ufficiali, che provengono dal Snsp, il Sistema nazionale di sicurezza pubblica. Quasi 100mila negli ultimi dieci anni anche se è davvero difficile verificare la contabilità di queste morti. Sono molti i parenti delle vittime che non denunciano la morte o la scomparsa di familiari. Eppure l’accordo sotto traccia tra i cartelli della droga è che la mattanza avvenisse in territorio messicano, non negli Stati Uniti. Se i toni dello scontro politico dovessero deteriorarsi ulteriormente il presidente del Messico che verrà eletto tra pochi mesi, succedendo a Enrique Pena Nieto, potrebbe interrompere la “delocalizzazione” del massacro e quindi far affiorare il problema negli Stati Uniti. Un altro punto sensibile, su cui i messicani potrebbero insistere è l’orgoglio messicano. Il nuovo governo potrebbe far detonare il “sentiment” antiamericano presente a sud del Rio Bravo.
L’economia
Il ministro Luis Videgaray, pochi mesi fa, in un’intervista al Sole 24 Ore, ha parlato chiaro: «I colloqui sul Nafta proseguiranno ma non siamo certo disposti ad accettare qualsiasi condizione dagli Stati Uniti».
Vero, l’economia del Messico verrebbe danneggiata ma anche i produttori americani patirebbero conseguenze recessive: le due economie sono molto integrate, soprattutto nel settore automotive. «La produzione di auto spostata in Cina, dal Messico – spiegava qualche settimana fa José Luis Rhi-Sausi, segretario socioeconomico dell’Iila, istituto italo latinoamericano, e profondo conoscitore dei processi produttivi messicani – genererebbe complicazioni evidenti per gli Usa. Logistica, trasporti, cambio di fuso orario, rapporti di interscambio, diverrebbero criticità a danno degli Stati Uniti». Per esempio, la produzione in tempo reale di un pezzo di ricambio di un’auto prodotta in Messico e circolante negli Usa oggi viene pensata, progettata e prodotta in un giorno. Qualora fosse in Cina, tutto ciò sarebbe irrealizzabile.
Infine, in vista del prossimo round di negoziati sul Nafta, in programma a Montreal il prossimo 23 gennaio, gli sherpa messicani, i negoziatori, fanno trapelare quest’indiscrezione, forse provocazione: i consiglieri economici di Trump non sono affatto convinti di voler riscrivere o cancellare il Nafta. Sì, perché seppellendo il Nafta non morirebbe l’automotive. Ed entrerebbero in vigore le norme della Wto (World trade organization), che sono ben più favorevoli al Messico che agli Stati Uniti. La tassazione è del 3,5% per l’export dal Messico agli Stati Uniti e il doppio in senso inverso. Quindi l’ossessione di Trump, più lavoro americano per ogni auto co-prodotta, si trasformerebbe in un boomerang.
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