NEW YORK - Accordo fatto tra repubblicani e democratici per archiviare lo “shutdown” e riaprire il governo americano. Al terzo giorno di blocco delle attività federali non essenziali - e prima di reali danni all’economia e alla credibilità di Washington - l’opposizione democratica ha sbloccato l’approvazione di una nuova misura temporanea di budget. In cambio ha ottenuto dai leader repubblicani la promessa di affrontare il problema dell’immigrazione entro gli inizi di febbraio e, in mancanza di ampi compromessi, di portare al voto la legalizzazione dei Dreamers, gli 800mila clandestini arrivati nel Paese da bambini ai quali Donald Trump ha tolto da marzo ogni protezione.
La nuova misura di bilancio è di più breve durata di quella inizialmente proposta, tre settimane, fino all’8 febbraio, anziché quattro. Segno che nuovi scontri potrebbero restare in agguato in assenza di un vero budget annuale e di un dialogo tra le parti. È entro quella data che i democratici si aspettano adesso le nuove aperture su immigrazione e Dreamers.
Il voto cruciale per riaprire gli uffici pubblici, al Senato, è stato quello procedurale: per portare in aula il provvedimento serviva una super-maggioranza di 60 voti su cento, possibile soltanto con il contributo democratico visto che i repubblicani dispongono al massimo di 51 senatori contro 49. Sulla scorta dell’intesa, il voto è diventato scontato: 81 a favore e 18 conto (15 democratici, due repubblicani e un indipendente). La legislazione provvisoria di bilancio vera e propria, che contiene anche una estensione di sei anni del programma sanitario per i bambini meno abbienti, è diventata a quel punto una semplice formalità, con approvazione a maggioranza semplice assicurata sia al Senato che alla Camera.
L’intesa è stata presentata come una marcia indietro dei democratici da parte di numerosi esponenti conservatori. E a conti fatti non contiene all’interno del budget la regolarizzazione dei Dreamers finora domandata dall’opposizione. Il leader democratico al Senato Chuck Schumer ha tuttavia preferito sottolineare che le parti sono «arrivate a un patto». Un clima di compromesso facilitato dal fatto che la Casa Bianca è rimasta fuori dagli ultimi round di trattative, permettendo un disgelo del clima.
Il ruolo di Donald Trump e dei suoi più stretti collaboratori è rimasto oggetto di intenso dibattito anche in presenza di un accordo: l’alzata di scudi del presidente sull’immigrazione alla vigilia del negoziato sul budget è parsa a molti controproducente. Trump aveva apostrofato con insulti i Paesi più poveri dai quali provengono i migranti al cospetto di senatori di entrambi i partiti che gli presentavano ipotesi di compromesso. E il suo capo di staff, il generale John Kelly, anziché figura di moderazione si sarebbe sempre più rivelato anche in questa occasione come a sua volta oltranzista, facendo deragliare ipotesi iniziali sui Dreamers come troppo progressiste.
L’urgenza di riaprire il governo si è alla fine imposta su tutto. Un protrarsi dello shutdown avrebbe minacciato danni economici e politici. Stime dei costi parlavano di 6,5 miliardi a settimana. Con centinaia di migliaia di dipendenti federali che si presentavano al lavoro solo per essere rimandati a casa senza stipendio. Simboli nazionali come la Statua della Libertà, chiusi nel fine settimana, erano attesi a una riapertura solo grazie a fondi d’emergenza dello stato di New York. Politicamente, nel frattempo, i democratici rischiavano di essere considerati istigatori della crisi, con sondaggi che li vedevano oggi preferiti ai rivali con un margine scivolato da 11 a cinque punti percentuali. Per i repubblicani il pericolo era al contrario apparire incapaci di governare nonostante il controllo della maggioranza parlamentare e della Casa Bianca.
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