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La crisi istituzionale che lacera gli Usa

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La crisi istituzionale che lacera gli Usa

  • –Marco Valsania

Il paradosso della nuova crisi esplosa sul Russiagate è nel nome al centro della bufera. Carter Page. Di professione faccendiere - pardon, consulente energetico - con oscure relazioni con Mosca e sconosciuto ai più. Che la stessa Casa Bianca si è sempre sforzata di dipingere come figura marginale, per pochi mesi tra gli “esperti” di politica estera di Donald Trump.

Può così sorprendere, a prima vista, che il “memorandum” lanciato come una granata dai parlamentari conservatori e Trump - l’estensore, il deputato Devin Nunes, in passato è stato colto in flagrante nei panni di passacarte della Casa Bianca - denunci una congiura dell’Fbi e di alti funzionari federali contro il Presidente incentrata proprio su Page. E che i critici si siano altrettanto inalberati. Non è invece una sorpresa: la lezione della battaglia sul “memo” non ha nulla o quasi a che vedere con i fatti o una giustizia cieca ai pregiudizi. Ha tutto a che fare invece con la traumatica polarizzazione politica e strisciante crisi istituzionale americana, che non pochi osservatori temono causi danni di lungo periodo alla credibilità di Washington. In gioco, per prossimità all’Fbi, è il futuro dell’intera inchiesta per far luce sulle interferenze elettorali russe, su collusioni della campagna Trump e su ostruzioni delle indagini guidate dal procuratore speciale Robert Mueller. Un’inchiesta che si sta avvicindando ad un bivio forse decisivo: l’interrogatorio di Trump.

Le rivelazioni stesse contenute nelle tre pagine e mezza compilate da Nunes sono state meno dirompenti di quanto promesso. Il memo sostiene, senza documenti originali o completi, che l’Fbi nel 2016 avrebbe ottenuto autorizzazioni a sorvegliare Page dai magistrati della corte Fisa con informazioni viziate - prelevate da un articolo di Newsweek e dal dossier di una ex spia britannica, Christopher Steele, finanziato da oppositori repubblicani di Trump e dai democratici. È però tutto da dimostrare - l’Fbi nega - che i magistrati abbiano davvero agito su queste informazioni. Di più: il testo tra le righe ammette verità scomode per l’amministrazione. L’inchiesta non originò affatto da Page ma da George Papadopoulos, altro discusso consigliere di Trump che, ubriaco, svelò contatti russi a diplomatici australiani che allertarono le autorità. Page, inoltre, era sul radar dei servizi segreti dal 2013 quale possibile agente russo - una spia di Mosca poi espulsa aveva cercato di arruolarlo pur definendolo un «idiota».

L’Fbi, va ricordato, ha una storia men che edificante. Il suo leggendario direttore, Edgar J Hoover, fu protagonista di abusi, ma sempre per conto della Casa Bianca. Il loro esito furono negli anni Settanta riforme che resero l’agenzia più indipendente e controllata. Se i critici ritengono che i tribunali Fisa approvino troppe richieste del governo, oltre il 90%, l’Fbi deve periodicamente dimostrare adeguate ragioni. Per Page, l’approvazione fu rinnovata tre volte.

Il vero spettro resta oggi, più di abusi o errori dell’Fbi, quello degli abusi e degli errori della politica. I democratici alzano a loro volta il tiro, denunciando che potrebbe aprirsi una vera crisi costituzionale. Mettono in guardia da riedizioni del Massacro del Sabato Sera, quando Nixon cercò di eliminare chi indagava sul Wategrate. Sull’altro lato della barricata Trump e i suoi alleati preparano nuove offensive: indagini rivolte a critici interni sono scattate nel Dipartimento di Stato e un rapporto del Dipartimento della Giustizia dovrebbe scagliarsi contro agenti “nemici” del Presidente. La testa di alti dirigenti dell’Fbi e della Giustizia vacilla. La credibilità di Washington potrebbe essere nelle mani di un protagonista improbabile: Mueller e il suo giudizio sul Russiagate.

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