Questa settimana è sicuramente servita al nuovo governatore della Fed Jerome Powell a capire che i primi passi della sua navigazione saranno tutto fuorché tranquilli.
Non solo ci sono due grosse incognite – Wall Street e inflazione – ma anche il fatto che la loro entità dipende dalle scelte di politica monetaria. Se si sbaglia, si paga doppio.
La turbolenza dei mercati finanziari in questi giorni non deve sorprendere. Se un secchio è pieno d’acqua, anche una oscillazione impercettibile lo fa tracimare. In questo caso il secchio è Wall Street. Guardiamo come è cambiata la fisionomia del secchio, prima e dopo la Grande Crisi del 2008. Osserviamo la dinamica del rendimento del capitale finanziario – rischioso – comparandola con quella dei titoli di stato americani – i titoli cosiddetti a rischio zero; così facendo ricaviamo il premio che si ottiene assumendosi un rischio. Dal 1980 fino al 2008 la dinamica del rendimento finanziario e quella relativa al rischio zero erano parallele e tendenzialmente calanti. Poi è arrivata la Grande Crisi: le banche centrali – in primis la Fed – per evitare il ripetersi di una Grande Depressione, hanno schiacciato il tasso del rischio zero … allo zero, inondando i mercati di liquidità, che – soprattutto negli Stati Uniti – si è riversata sui mercati azionari. Per cui il rendimento finanziario è rimasto relativamente alto. Ed il secchio si è riempito.
Il rendimento finanziario si è sempre più allontanato dal rendimento reale del capitale, sia in termini di valori che in termini di profilo temporale: il rendimento finanziario ha visto il suo orizzonte temporale accorciarsi sempre di più, e la sua volatilità relativa aumentare. Se si confronta il grafico del rendimento reale del capitale con quello del rendimento finanziario nel stesso periodo sopra citato ci si accorge che il primo sembra quello di un encefalogramma piatto, il secondo assomiglia al profilo di un ottovolante.
Parafrasando Paul Krugman, premio Nobel 2008, si potrebbe dire: «Quando si parla delle borse (di oggi), bisogna ricordare tre cose. Primo, la Borsa non è l’economia. Secondo, la Borsa non è l’economia. Terzo, la Borsa non è l’economia». La dinamica dell’acqua del secchio - la Borsa – ha poco a vedere con quella della sua fonte – l’economia americana – e soprattutto nel giorno dopo giorno è mossa dal quel motore insidioso che si chiama incertezza.
E qui entra in campo il ruolo della Fed del nuovo presidente Powell. Il secchio è stato riempito dalla politica di chi ha preceduto Powell, vale a dire Janet Yellen. Peraltro, Powell ha personalmente condiviso tale politica, essendo già nel consiglio della Fed fin dal 2012. La politica monetaria ultra espansiva ha gonfiato i prezzi ed i profitti di Wall Street. Si è potuto affermare che tale politica era anche coerente con lo stato di salute dell’economia americana, finché tale stato è stato definito anemico. Va ricordato che negli Stati Uniti la recessione economica è finita nel 2009; ma allo stesso tempo lo stato stagnante dell’occupazione, quello dei salari e quello dei prezzi ha consigliato un proseguimento dell’accomodamento monetario. Ma poi l’occupazione è ripresa: oggi il relativo tasso viene considerato coerente con la piena occupazione delle risorse; anche salari e prezzi appaiono sul sentiero della normalità. Quindi a Powell le condizioni dell’economia potrebbero richiedere un ritorno più rapido del previsto alla completa normalità della politica monetaria. Traduzione: tassi di interesse più alti ed una riduzione del bilancio della Fed. Si noti che la Fed, partendo da Ben Bernanke e passando da Janet Yellen, ha scelto un percorso di normalizzazione opposto a quello deciso dalla banca centrale europea, vale a dire: prima normalizziamo i tassi, poi il bilancio. A parità di altro, se non cambierà nulla i contribuenti americani non saranno molto felici: quando i tassi si innalzeranno, il costo delle riserve delle banche - anche straniere – presso la Fed aumenterà, riducendo la retrocessione dei profitti della banca centrale a favore del Tesoro.
Ma oggi il problema di Powell è che cambiare qualunque cosa fa oscillare il secchio Wall Street. E se incertezza tra cambiare e non cambiare, il secchio oscilla ancora di più. Quindi basta una notizia sull’inflazione, o sui salari, o sulla riforma fiscale, e parte l’ottovolante. Powell non è aiutato dall’assetto istituzionale della Fed, prima di un chiaro mandato. Ma non è aiutato neanche dall’ignavia dei suoi predecessori – appunto Bernanke e Yellen – che hanno preferito non darsi una regola di condotta, mentre stavano riempiendo il secchio. Ora tocca a Powell. Con il secchio già pieno.
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