In un’Europa sempre più divisa sull’avanzamento dell’Unione bancaria, l’unico momento di coesione che a Bruxelles si è riusciti a trovare riguarda il trattamento dei non performing loans (Npl) nei bilanci bancari che, come noto, pesano soprattutto sugli istituti di credito italiani. La proposta della commissione Ue, che è intervenuta nell’ambito del cosiddetto Pillar 1 ovvero dei requisiti patrimoniali “erga omnes” stabiliti per legge, ha il pregio di non incidere retroattivamente sullo stock di crediti deteriorati ma solo sui nuovi prestiti che saranno concessi da oggi in poi. Ma ogni valutazione sul provvedimento della Ue potrà essere effettuata solo dopo i dettagli del cosiddetto “addendum” che la Vigilanza Bce annuncerà oggi. Se i due provvedimenti appaiono analoghi, in entrambi i casi l’azzeramento degli Npl garantiti è previsto in 7-8 anni e di quelli non garantiti in due anni, la differenza sta proprio nel monte crediti coinvolto dalla normativa. Se la Commissione Ue punta solo al flusso di nuovi crediti, la Vigilanza Bce intende comprendere il flusso delle nuove sofferenze e quindi anche i crediti in bonis o unlikely-to-pay (utp) che diventeranno Npl dal 1 aprile in poi. Escluso, in entrambi i casi, sarà lo stock esistente dei crediti deteriorati. Fatti i primi conti, l’impatto della proposta della commissione Ue dovrebbe avere - secondo gli analisti - un impatto pressochè nullo, in media, sul Cet1 delle banche italiane. Mentre la decisione di oggi di Bce - se come pare sarà sostanzialmente in linea con la proposta di ottobre, a parte lievi modifiche per accogliere alcune delle tante osservazioni giunte a Francoforte - dovrebbe pesare in media per circa 30 punti di Cet1 sul capitale delle maggiori banche italiane. La vera posta in gioco, più dell’impatto patrimoniale sui singoli istituti, è il rischio credit crunch indotto dalla somma delle due nuove regolamentazioni. In particolare, come già evidenziato sul Sole24Ore, l’azzeramento in due anni del valore dei crediti non garantiti avrà come conseguenza un repricing del credito a breve alle imprese, oltre a un incremento del garantito, a fronte dei maggiori rischi per le banche derivanti dalla nuova regulation.
Può un qualunque settore industriale competere ed essere redditizio se la regolamentazione cambia di continuo? Mentre negli Stati Uniti si pensa a una deregulation, per il sistema bancario europeo il 2018 si conferma invece come l'anno dell'ingorgo normativo. Prima l'entrata in vigore della direttiva Mifid2 sui servizi finanziari, poi quella Psd2 sui pagamenti, seguita dai nuovi principi contabili Ifrs9. Da ieri c'è anche la proposta della Commissione Ue sul trattamento nei bilanci bancari degli Npl, oggi sarà reso noto l'addendum della Vigilanza Bce sullo stesso tema, mentre sono state appena varate le linee guida dell'Eba sullo smaltimento degli Npl. L'anno si chiuderà con l'esito degli stress test sulle maggiori banche europee, proprio mentre gli istituti si prepareranno per l'entrata in vigore di Basilea4 già approvata a fine 2017 dal comitato di Basilea.
Una sequenza di regole focalizzate sugli Npl, ormai diventati la nuova ossessione europea in materia bancaria, che rende più complessa l'erogazione del credito a imprese e famiglie e quindi alla crescita dell'economia. Obiettivo che per i vari regulators europei sembra secondario rispetto alla riduzione dei rischi bancari.
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