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La crisi delle spie, gli oligarchi a Londra e le ritorsioni di Putin

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DOMENICA LE ELEZIONI IN RUSSIA

La crisi delle spie, gli oligarchi a Londra e le ritorsioni di Putin

Vladimir Putin (Ap)
Vladimir Putin (Ap)

MOSCA - Mosca fa la voce grossa e promette ritorsioni simmetriche immediate, ma la realtà è che la risposta di Londra all'attacco all'ex spia russa Serghej Skripal - il 4 marzo scorso a Salisbury - è stata «moderata, misurata e convenzionale, senza un impatto significativo di deterrenza», scrive Mark Galeotti, veterano osservatore della politica russa. Dopo aver puntato il dito sul Cremlino per il tentato omicidio dell'ex agente e della figlia Yulia, avvelenato con un raro tipo di gas nervino, Theresa May non ha affondato la mano, annunciando misure più miti rispetto a quelle previste.

Evitate le misure più pesanti
Ventitré (su 58) diplomatici espulsi perché ritenuti spie, congelamento dei contatti bilaterali ai massimi livelli, rafforzamento dei poteri del controspionaggio: anche se il governo britannico si è riservato la possibilità di studiare ulteriori provvedimenti, non ha annunciato restrizioni all'import di gas russo né accennato all'intenzione di chiedere l'esclusione delle banche russe dal sistema Swift che lega i trasferimenti internazionali. «Non siete graditi», si è limitata a dire Theresa May.

Oligarchi risparmiati
Le nubi si allontanano da Londongrad? A Mosca, l'oppositore numero uno del regime è tra i primi a dirsi delusi: «Quale sarebbe la sanzione più efficace - twitta Aleksej Navalny -? La risposta è in tre cognomi: Abramovich, Usmanov, Shuvalov». Nell'ordine: proprietario e principale azionista del Chelsea, dell'Arsenal, vice primo ministro. Ovvero, tre rappresentanti della comunità di politici e imprenditori russi che hanno messo radici nella capitale inglese, trasferendovi capitali e famiglie. Almeno per il momento, la May non è sembrata voler rinnegare il ruolo di Londra come calamita di investimenti e ricchi patrimoni, che non fa tante domande sulla loro provenienza: il governo britannico non ha pronunciato alcun nome malgrado il fatto - secondo ex membri dell'intelligence inglese citati dal New York Times - che a Londra si fossero ritrovati più agenti russi che durante la guerra fredda. Vaga resta la minaccia di congelare assets o di vietare l'ingresso nel Paese a chi verrà giudicato un pericolo per la Gran Bretagna.

Putin beffardo
Accolto come un salvatore a Sebastopoli, nella Crimea annessa alla Federazione Russa quattro anni fa, Vladimir Putin è apparso mandare un messaggio beffardo al Paese che nello stesso momento confermava le sanzioni decise proprio a causa della crisi ucraina. E ora che gli Stati Uniti ne minacciano di nuove per rispondere al Russiagate, paradossalmente se anche Londra avesse preso di mira gli oligarchi avrebbe fatto un favore al presidente russo, che conta sul timore delle sanzioni per spingere i suoi biznessmeny a rimpatriare le ricchezze parcheggiate all'estero. «Il Cremlino - spiegava lo scrittore russo Boris Akunin prima dell'annuncio della May - spera che il governo britannico risponda con un giro di vite contro oligarchi grandi e medi, sempre pronti a fuggire in Gran Bretagna non appena si sentono minacciati in Russia. Se si sentissero sotto pressione a Londra, sarebbero costretti a riposizionarsi su Mosca, cosa che è nell'interesse del governo russo». Come fa notare Charles Lichfield, analista di Eurasia Group, lo stesso Putin preme per il ritorno dei capitali investiti all'estero: «Il governo ha approvato di recente una cosiddetta amnistia destinata a incoraggiare proprio questo. Sanzioni inglesi di questo tipo darebbero una mano ai piani di Putin».

Presidente sempre popolare
Nell'attesa a Mosca, a partire da Navalny, si scherza sull'annuncio che nessun ministro britannico né alcun membro della famiglia reale verrà in visita in occasione dei Mondiali di calcio della prossima estate. C'è chi si sente scoraggiato ad ascoltare le notizie la mattina alla radio: «C'è sempre qualcosa di nuovo per cui è colpa della Russia», sospirano. Ma secondo Boris Grozovskij, analista economico, anche il caso Skripal andrà per lo più a incrementare il consenso per Putin, nelle elezioni di domenica prossima: «Il confronto con l'Occidente - spiega ricordando anche la carrellata di missili esibita da Putin nel discorso dell'8 marzo - qui è una cosa positiva. Ai russi piace».
Quanto alle responsabilità, Grozovskij non ha dubbi: «Oggi il Kgb, di cui Putin ha fatto parte, si chiama Fsb, ma le regole non sono cambiate. Se uno è un traditore, deve essere eliminato».

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