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Il capitalismo degli amici nella Russia senza riforme

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Il capitalismo degli amici nella Russia senza riforme

Il presidente russo Vladimir Putin sul ponte di Kerch, che collega la Russia alla Crimea
Il presidente russo Vladimir Putin sul ponte di Kerch, che collega la Russia alla Crimea

MOSCA - Ha fatto quattro passi, e poi una foto di gruppo con i tecnici che lo accompagnavano proprio mentre a Londra Theresa May puntava il dito contro di lui: se c’è un luogo che simboleggerà per sempre il confronto tra la Russia e l’Occidente, quello sarà il ponte di Kerch. O, come lo chiamano qui, il ponte verso la Crimea.

Vladimir Putin lo ha voluto a tutti i costi, sfidando la storia, la tecnologia, l’economia, il mare e i venti. A collegare la costa russa alla penisola affacciata sul Mar Nero ci avevano provato gli inglesi ai tempi dell’impero, i nazisti, l’Armata Rossa, e nel 2008 russi e ucraini insieme, prima della grande crisi. Ma lo stretto di Kerch è infido, il fondo del mare limaccioso, le correnti e i ghiacci una sfida che finora tutti avevano perso. Eppure il presidente lo voleva, e lo voleva ultimato in tempo per queste elezioni programmate proprio per oggi, il giorno in cui quattro anni fa la Federazione Russa si riprendeva la Crimea. Un ritorno che la comunità internazionale non riconosce, e che doveva quindi materializzarsi nell’opera miliardaria che verrà ultimata con qualche mese di ritardo sui tempi, ma che ormai lega fisicamente la Crimea alla Russia.

Il ponte di Kerch dice molto del sistema che Putin ha creato. A costruirlo è stata la Stroigazmontazh di Arkadij Rotenberg, uno degli uomini più vicini al presidente fin dagli anni del judo a Pietroburgo. In prima linea ogni volta che c’è una sfida da raccogliere, una grande commessa da assegnare, un megaprogetto da realizzare. Kerch era la sfida più grande di tutte. Nessuno voleva rischiare, e Putin aveva bisogno di qualcuno di cui si fida completamente. La lealtà è la prima cosa che chiede ai suoi.

Il «capitalismo degli amici»
«In Russia non abbiamo un normale capitalismo, ma un capitalismo degli amici - dice Boris Grozovskij, analista economico -. È molto difficile fare la differenza tra Stato e settore privato. Gazprom, per esempio, è una compagnia statale, ma quando deve fare i tubi affida i contratti agli amici di Putin. Le compagnie sono private, ma i soldi dello Stato».

La priorità ai grandi progetti voluti per ragioni geopolitiche, che sottraggono risorse a necessità ben più urgenti per la popolazione; la commistione tra pubblico e privato, con i grossi affari riservati a una cerchia ristretta di compagnie; la mancanza di trasparenza. Malgrado sia un’opera grandiosa, Kerch sembra riunire in sé tutte le ragioni principali che impediscono all’economia russa di decollare davvero. «Non hanno detto a Putin - osserva Grozovskij - che se vuoi una vera crescita ti serve un livello molto più alto di competizione».

I PROGRESSI DELL'ECONOMIA RUSSA
Fonte: Rosstat; Renaissance Capital

Kudrin e le riforme strutturali
È quello che sostiene Aleksej Kudrin, l’ex ministro delle Finanze che Putin sembra costantemente voler richiamare nella squadra di governo. Gli ha affidato la preparazione di un programma economico che potrebbe essere realizzato dopo il voto di domani, all’avvio di quello che dovrebbe essere l’ultimo mandato del presidente. Kudrin è in sintonia con la squadra degli economisti al governo e alla Banca centrale, di orientamento liberale, che hanno sposato la sua formula di rigore e austerità riportando in ordine i conti dello Stato - con tagli dolorosi un po’ su tutto - dopo l’ultima recessione, stabilizzando il rublo, consentendo all’inflazione di scendere dal 15% del 2015 al minimo storico del 2%, avviando il processo di riduzione della dipendenza dal petrolio a cui in qualche modo, imponendo una diversificazione dell’economia, hanno contribuito anche le sanzioni. Ma è la parte centrale delle convinzioni di Kudrin che metterà davvero alla prova la stima che si dice Putin provi per lui: senza riforme strutturali e senza ridurre la quota dello Stato nell’economia, ripete instancabilmente l’ex ministro, la crescita non andrà mai oltre un 1,5-2% che ha sapore di stagnazione. La riforma più urgente è quella delle pensioni.

«Una seconda Norvegia», l’ambizione di Siluanov
Anton Siluanov, l’attuale ministro delle Finanze, è soddisfatto dei primi segnali positivi che l’economia sta lanciando - riconosciuti dalle agenzie di rating che stanno restituendo alla Russia lo status investment grade - e alza il tiro: «Abbiamo riportato la stabilità, ora dobbiamo andare oltre». La nuova parola d’ordine è prevedibilità, mentre Siluanov sogna di voler costruire in Russia «una seconda Norvegia», immune dalle fluttuazioni del petrolio. Qualcuno gli ricorda che in Norvegia non ci sono strade dove sembra che la guerra non sia ancora finita: la tecnologia che ha permesso agli ingegneri di Rotenberg di domare lo stretto di Kerch non arriva a riparare le buche di Russia. Una contraddizione come quella che vede Putin da una parte invocare un settore privato dinamico mentre dall’altra si affida allo Stato e agli apparati di sicurezza, preoccupato di perdere il controllo di politica ed economia.

Vera Barinova, responsabile del Centro studi imprenditoriali presso l’Accademia presidenziale per l’Economia nazionale e la pubblica amministrazione, è uno degli esperti che hanno contribuito alla stesura del piano strategico di Kudrin. Conosce il mondo delle piccole imprese private russe, segue gli sforzi che si stanno facendo per aiutarle a crescere. È vero, spiega, «l’economia russa è in larga misura centralizzata, con un settore pubblico dominante ereditato dal periodo sovietico: abbiamo un territorio e risorse talmente vaste che tendiamo a concentrarle. Non è una caratteristica negativa della Russia, funziona così». Vera aiuta a guardare più da vicino la realtà russa per poterne vedere i progressi. E in questa «c’è, naturalmente, un posto per l’iniziativa privata. Gli ostacoli non vengono creati di proposito. Certamente ci sono regole e istituzioni che non funzionano alla perfezione, e barriere alla crescita. Ma per sostenere le piccole e medie imprese al governo stanno facendo del loro meglio».

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