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Apple, Ibm e Tesla contro Facebook. E la Silicon Valley si spacca sul…

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lo scandalo dati

Apple, Ibm e Tesla contro Facebook. E la Silicon Valley si spacca sul datagate

Lo scandalo Cambridge Analytica è tutt'altro che alle spalle. Gli effetti sono ancora evidenti sull'andamento del titolo azionario di Facebook. E anche il fronte delle indagini sembra essere solo all'inizio, con la Federal Trade Commission che nelle ultime ore ha confermato l'apertura di un'indagine sulle pratiche del social network riguardanti il trattamento dei dati personali.

Quello che sta emergendo concretamente - mentre Facebook continua a bruciare miliardi in borsa - è un quadro del tutto nuovo, dunque. E si ha l'impressione che il caso londinese stia diventando, via via, solo un importante pretesto. Un punto chiave dal quale ci si sta muovendo per andare oltre, con Facebook che si è ritrovata addosso gli occhi di mezzo mondo per una gestione della privacy con molte ombre.

La privacy spacca la Silicon Valley
Quello che succederà nelle prossime settimane è imprevedibile. Però l'aria che tira in Silicon Valley sembra aver già aperto una crepa profonda nell'industria tecnologica. La solidità con la quale era stata affrontata, ad esempio, la storia dell'iPhone del terrorista di San Bernardino, sembra solo un lontano ricordo. In quell'occasione il comparto tech si schierò apertamente e solidamente al fianco di Apple e contro le richieste dell'Fbi. Una chiamata alle armi in onore della privacy che funzionò benissimo. Oggi la situazione è assai differente, e sembra aver lacerato alcuni rapporti, dividendo l'industria del prodotto da quella dei dati, con quest'ultima che è ovviamente maggiormente coinvolta e sotto la lente.

A rompere gli indugi è stato Elon Musk, Ceo di Tesla, che senza pensarci troppo ha risposto allo scandalo Cambridge Analytica chiudendo gli account Facebook ufficiali delle sue aziende Tesla e SpaceX. Ma a scagliare il fendente più doloroso è stato Tim Cook. Il Ceo di Apple, che della privacy fa da sempre uno dei suoi cavalli di battaglia, è stato fra i pochissimi leader del mondo tech a parlare del datagate scoppiato in pancia a Facebook, e le sue parole non sono state per nulla leggere. Dopo aver definito lo scandalo Cambridge Analytica un fatto «terribile», è entrato nel dettaglio della vicenda chiedendo un impegno concreto ai governi: «La capacità di chiunque di sapere, da anni, cosa abbiamo visitato, chi sono i tuoi contatti, chi sono i loro contatti, le cose che ti piacciono e che non ti piacciono e ogni dettaglio intimo della tua vita dal mio punto di vista non dovrebbe esistere», ha detto Cook. «Penso che questa determinata situazione – ha aggiunto - sia così terribile ed è diventata così grande che probabilmente è necessario un regolamento ben congegnato. Per anni ci siamo preoccupati che le persone in molti Paesi stessero rinunciando ai dati probabilmente senza sapere a fondo ciò che stessero facendo ed eravamo certi che un giorno sarebbe successo qualcosa che avrebbe notevolmente offeso queste stesse persone. Sfortunatamente questa predizione si è avverata più di una volta».

Stessa linea d'onda per la Ceo di Ibm, Ginny Rometty: «Se vuoi usare certe tecnologie – ha detto durante un convegno pubblico - devi far sapere agli utenti che le usi. Non deve essere una sorpresa. Le persone devono avere la possibilità di aderire o rifiutare con le modalità di “opt in” e “opt out”, e deve essere chiaro che la proprietà dei dati è di chi li crea».

Il silenzio che fa rumore
Da contraltare a queste posizioni, c'è il silenzio che fin qui hanno preferito mantenere i leader di altre aziende come Google, Amazon, Microsoft e Twitter. Non è possibile dire con certezza se la decisione di non parlare sia frutto di una strategia o meno, ma il loro silenzio rimane un fatto. E addensa l'ombra dell'imbarazzo che lo scandalo innescato dalla società londinese sta gettando sul mondo dei dati. Non è un caso, del resto, che il senatore repubblicano Charles Grassley, presidente del comitato giudiziario del Senato Usa, abbia esteso all'amministratore delegato di Google, Sundar Pichai, e a quello di Twitter, Jack Dorsey, l'invito a testimoniare rivolto a Mark Zuckerberg. Google e Twitter sono due società molto esposte in fatto di raccolta dati. E per ora hanno preferito non commentare il caso Cambridge Analytica. Ma molto presto le cose potrebbero cambiare.

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