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Turchia, l’economia corre oltre le attese: +7,4% nel…

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cresce la domanda interna

Turchia, l’economia corre oltre le attese: +7,4% nel 2017

Cosa si nasconde dietro l’imponente crescita dell’economia turca? Gli ultimi dati rilasciati dall’Istituto statistico turco segnalano un aumento – a prima vista sorprendente - del Prodotto interno lordo pari al 7,4 per cento nel 2017. Si tratta dell’incremento più forte dal 2013.
Politica ed economia corrono spesso su due binari diversi, non necessariamente paralleli. Quasi che l’economia della Turchia fosse immune alle tensioni politiche in corso tra Ankara e Bruxelles, alle campagne militari nella Siria settentrionale in cui è impegnato l'esercito di Ankara, all’allarme terrorismo che ha messo in grande difficoltà il settore del turismo.

Consumi interni e progetti infrastrutturali guidano la crescita
«La spiegazione di questa crescita, che è stata la maggiore nel G20, – spiega al Sole 24 Ore Kerem Alkin, professore di economia presso l’Istanbul Medipol University - passa per due fattori. Innanzitutto hanno avuto un ruolo decisivo i grandi progetti infrastrutturali realizzati in Turchia attraverso i contributi governativi alle imprese, i finanziamenti privati e i crediti internazionali. Ne ricordo solo qualcuno: il tunnel euroasiatico che permette all'autostrada di attraversare il Bosforo o i due nuovi ponti ancora sul Bosforo. Di primaria importanza anche il nuovo aeroporto internazionale di Istanbul che entrerà in funzione alla fine del 2018. A pieno regime avrà una capacità di 200 milioni di passeggeri l’anno».

In un Paese che conta ormai 80 milioni di abitanti il contribuito decisivo alla crescita è arrivato dalla domanda interna. «Entrando nel dettaglio – continua Kerem Alkin - la spesa dei consumi privati ha rappresentato il 2,3% del Pil, la spesa del settore pubblico lo 0,5%, gli investimenti privati e governativi un altro 2,5%».

Nel 2017 il settore delle costruzioni è cresciuto dell’8,9%, un deciso passo in avanti rispetto al 2016 (+5,4%), mentre la produzione industriale in generale ha registrato un incremento ancora maggiore; +9,2% (nel 2016 aveva registrato una crescita del 4,2%).

Non è invece esaltante il dato sulle esportazioni nette. «Le esportazioni nette – precisa Alkin - hanno contribuito solo per lo 0,5% perché il nostro Paese importa ancora moltissimi beni. Acquistiamo dall’estero ancora il 78% delle materie prime utilizzate dalla nostra industria».

Sarà una crescita che durerà nel tempo? E soprattutto sarò sostenibile?
Se l’Ocse prevede un aumento del Pil del 5,3% nel 2018 il professore di economia è più cauto. «Per i prossimi due anni la crescita dovrebbe assestarsi intorno al 4,5% l’anno». Goldman Sachs è ancora più cauta per l’anno in corso: +4 per cento.

L’altra faccia della medaglia: debito, inflazione e disoccupazione
Sembra un dato comunque positivo. Ma forse non abbastanza per far fronte al problema della disoccupazione. «Ogni anno si affacciano sul mercato del lavoro 800mila persone. Per assorbire questa mole occorrerebbe una crescita costante del Pil di almeno il 5 per cento», precisa Alkin.

E non è il solo problema. Se l’economia è finora cresciuta a questi ritmi lo si deve anche, e forse soprattutto, agli aiuti concessi alle piccole medie imprese, che grazie al fondo di garanzia del credito hanno infatti beneficiato di quasi 60 miliardi di dollari. E se questo ha contributo alla crescita, sul fronte opposto si è ripercosso, in negativo, sull’indebitamento del Governo. Lo stesso si può dire dei tagli alle tasse, che hanno aumentato i consumi privati.

I mali da cui deve guarire l’economia turca si chiamano deficit delle partite correnti, salito nel 2017 al 5,5 del Pil (peggiorato nel terzo trimestre al 6,1% e nel quarto del 7), carenza di liquidità e, soprattutto, inflazione.

Insomma è un’economia che corre. Eppure , se non verranno adottate le misure necessarie, rischia il sovra-riscaldamento, come ha fatto notare il quotidiano britannico Financial Times. Con tutte le conseguenze del caso.

«Il problema maggiore resta l’inflazione - ammette il professor Alkin - Si tratta di un’inflazione da costi crescenti, legata soprattutto alla forte svalutazione della lira turca nei confronti del dollaro. Per un Paese che importa così tanto come il nostro le ricadute sono evidenti. Per questo riteniamo sia determinante mantenere i tassi di interessi su livelli bassi. E affrontare il problema inflattivo con politiche fiscali ad hoc, politiche di efficienza energetica e altre misure specifiche. Ma comunque siamo riusciti a ridurre l’inflazione portandola sotto il 10 per cento (i dati più aggiornati tuttavia parlano del 10,3%, ndr)»

Il deciso calo degli investimenti diretti stranieri ha peraltro avuto un impatto negativo sulla liquidità . « Certo, anche la liquidità, soprattutto in valuta pregiata, rappresenta per noi ancora un problema. Ma i nuovi progetti finanziari e le opportunità di investimenti finanziari che stiamo discutendo con partner asiatici, non parlo solo della Cina, ma anche e soprattutto del Giappone, ci danno fiducia. Il Giappone potrebbe essere interessato a progetti comuni in Africa o nei Balcani».

La Turchia guarda dunque ad Est. Ma non rinuncia al mercato europeo e al processo di adesione all’Unione Europea. «L’Europa resterà sempre il nostro mercato di riferimento – conclude Alkin – il mercato per noi più attraente. Per varie ragioni. Ma il Far East rappresenta per noi una grande opportunità».

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