È un momento difficile per Emmanuel Macron. Il presidente francese - malgrado un gradimento piuttosto basso, tornato da diverse settimane sotto il 50% - ha il sostegno dei suoi concittadini, nel confronto con i ferrovieri della Sncf, ai quali vuole ridurre una serie di istituti considerati come privilegi e, in ogni caso, poco sostenibili con i bilanci della compagnia pubblica. Un rischio però aleggia sulla presidenza: il possibile coagularsi delle proteste contro le sue riforme.
Avere il consenso dei francesi è un fattore importante, persino rassicurante per l’Eliseo: nel ’95 i ferrovieri inflissero una clamorosa sconfitta al primo ministro Alain Juppé, che si tradusse poi nella perdita della maggioranza da parte dei neogollisti del presidente Jacques Chirac: Lionel Jospin divenne premier nel ’97. In quell’occasione, fu il sostegno della popolazione, che sopportò i disagi degli scioperi e amplificò le proteste, a favorire la vittoria dei lavoratori.
Oggi la situazione sembra diversa: secondo un sondaggio Bva, citato dal Financial Times, un francese su quattro sostiene le riforme del settore ferroviario del primo ministro Édouard Philippe, e uno su tre è d’accordo a modificare lo status dei lavoratori; anche se altre rivelazioni indicano però che i sostenitori dei lavoratori siano intorno al 42-46%. Sembra in ogni caso avere la funzione di alimentare questo consenso tendenzialmente maggioritario la proposta di Macron di ridurre del 30% il numero dei parlamentari: in Francia, come altrove, è forte la sfiducia nei confronti delle élites politiche.
Gli scioperi, però, sono destinati a continuare. Il mondo sindacale francese è molto ben organizzato nelle sue proteste: i lavoratori della Sncf si asterranno dal lavoro, a scacchiera, fino a luglio: oggi e domani sono i prossimi appuntamenti ed è garantito solo un Tgv - il treno ad alta velocità - su cinque - segno di un’ampia partecipazione - e tre su quattro treni internazionali. Ai ferrovieri si affiancheranno, a turno, diverse altre categorie: dopo ieri, il 10 e 11 aprile, il 17 e il 18, il 23 e il 24 si fermeranno i lavoratori della Air France, che chiedono un aumento dei salari del 6%. Uno sciopero nazionale illimitato, anche in questo caso a scacchiera, è stato intanto proclamato dall’unione sindacale radicale Solidaire in tutto il settore pubblico, mentre la Cgt, il più agguerrito dei grandi sindacati, ha proposto alle altre organizzazioni uno sciopero generale per il 19 aprile.
Non sono questi disagi, per quanto fastidiosi, a inquietare Macron. Fin dall’inizio di questa - in fondo prevedibile - stagione di proteste, il vero rischio era una fusione tra le proteste sindacali e quelle studentesche che, come in passato, potrebbero trasformare il sostegno passivo oggi accordato a Macron dai francesi nel silenzio di una maggioranza in attesa degli eventi.
Gli studenti sono già mobilitati: sono ormai diverse le facoltà bloccate o in agitazione che chiedono le dimissioni del presidente. In due occasioni, al campus di Tolbiac, alla Sorbona, e alla facoltà di diritto di Montpellier ci sono stati anche casi di violenza: in entrambi i casi, gruppi di persone nascoste dai caschi hanno picchiato gli studenti con bastoni, manganelli e taser.
L’entourage del presidente cerca di ridimensionare questi eventi, che in effetti non sono ancora sufficientemente ampi da costituire una vera minaccia o un vero movimento sociale. Il rischio di un’escalation esiste, però. Il timore dei macroniani nasce dal fatto che il partito ha difficoltà a catturare il consenso proprio tra gli studenti. Il suo movimento, che si proponeva come “giovane” e “radicale”, sia pure di centro, è inoltre ormai percepito, rivela un sondaggio Ipsos, come un partito di destra - decisamente più di un anno fa - e questo crea qualche difficoltà a conquistare fiducia e consenso nelle università.
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