Era nell'aria, era prevedibile, forse - come ha subito precisato la premier britannica Theresa May - «non vi erano alternative». I bombardamenti iniziati ieri notte contro le sospette postazioni di armi chimiche in Siria segnano l'inizio di un'escalation annunciata ma dalle conseguenze imprevedibili.
L'ultimo attacco con armi chimiche avvenuto domenica scorsa contro la regione del Ghouta orientale, alle porte di Damasco (oltre 50 vittime civil), aveva platealmente superato la linea rossa tracciata dai Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna. Tutti e tre hanno assicurato di aver prove incontrovertibili che la responsabilità sia del presidente siriano Bashar al-Assad.
Questa volta il presidente francese Emmanuel Macron era più determinato che mai. A suo avviso, non effettuare una rappresaglia equivaleva a mostrarsi deboli davanti a un dittatore spregiudicato. Non reagire lo avrebbe incentivato a ricorrere ancora al suo arsenale chimico. I raid sono dunque scattati.
Per quanto bellicose siano le dichiarazioni della Russia, ma soprattutto del regime siriano e del suo alleato più potente, l'Iran – «ci saranno conseguenze» -, la situazione non appare ancora fuori controllo. Tutti, soprattutto le potenze occidentali, la Russia ma anche Israele, vogliono evitare un confronto militare diretto. Una sorta di guerra mondiale mediorientale.
Finora i bombardamenti mirati hanno colpito solo i siti sospetti dove, secondo l’intelligence di Usa, Gran Bretagna e Francia, sarebbe ancora nascosto l'arsenale chimico del dittatore siriano.
La precisione dei raid sembra essere stata chirurgica. Nessuna base utilizzata dai militari russi è stata colpita. Anche le aree popolate da civili non sarebbero state coinvolte dai bombardamenti.
Tuttavia nessuno si crea illusioni. I danni “collaterali” si annidano dietro l'angolo. Con tutte le gravi conseguenze che ne derivano.
Una notte di bombardamenti non servirà certo a distruggere tutte le armi chimiche presenti in Siria. Tanto meno a rimuovere dal potere il presidente siriano Bashar al-Assad. Grazie al sostegno militare di Russia, Iran ed Hezbollah libanese questa guerra lui l'ha praticamente vinta.
Consapevole di tutto ciò, Trump ha ribadito gli obiettivi della campagna militare: «Il nostro obiettivo è distruggere le capacità di lanciare armi chimiche del regime siriano». Aggiungendo: «Il destino di Assad dipenderà dalla sua gente». Anche la premier britannica lo ha precisato: «Non è nostra intenzione rovesciare il regime».
Quello che sta avvenendo oggi in Siria rischia dunque di essere solo una dimostrazione di forza, accompagnata da un avvertimento a Bashar al-Assad: anche se non riusciremo a smantellare quell'arsenale chimico che avresti dovuto distruggere nel 2013, andrai incontro a conseguenze ancora più dure se sarà nuovamente oltrepassata la linea rossa.
Il fatto che gli Stati Uniti abbiano compiuto l'operazione insieme a Regno Unito e Francia rende più compatto il fronte occidentale anti-Assad.
Questa volta, però, Trump dovrebbe dare ascolto ai suoi consiglieri. Se davvero vuole uscire dal pantano siriano, come ha reso noto due settimane fa annunciando un imminente ritiro dei 2mila soldati americani dalla Siria settentrionale (nei territori controllati dai curdi), dovrà sforzarsi a contenere l'azione militare e a non farsi provocare dalle prevedibili contromosse di Russia e Iran.
Perché se - come ha ribadito il presidente americano - la durata delle operazioni è ancora incerta, più trascorre il tempo più si attenua la «capacità chirurgica» degli eserciti occidentali. In altre parole più si va avanti, più si rischiano vittime civili e soprattutto un «contatto» non desiderato con le forze russe o iraniane presenti in Siria. Gli esperti generali del Pentagono avranno avvertito Trump; si sa quando si inizia una guerra, ma non è dato sapere quando, e come, finirà.
© Riproduzione riservata