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Libano, la carica delle candidate donne che sfidano i settarismi

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oggi le elezioni

Libano, la carica delle candidate donne che sfidano i settarismi

Il tono è gentile, i modi affabili. Ha 37 anni, eppure in jeans e polo bianca somiglia più a una neo laureata che a una dirigente di un’azienda privata dell’aeronautica civile. Ma quando Nadine Itani illustra il programma elettorale, i cambiamenti che lei espone, con passione, farebbero balzare dalla sedia metà della vecchia classe politica libanese. Soprattutto quei politici di lungo corso che, in virtù dell’appartenenza ad una confessione religiosa, da decenni si spartiscono il potere in Libano grazie anche al sostegno delle potenze regionali.

L’ufficio dove Nadine ci riceve, ad Hamra, nel cuore di Beirut, è gremito di giovani. Lei, musulmana sunnita, madre di due figli, è una degli otto candidati della lista indipendente “Kelna Beirut” (tutti per Beirut): «Occorre restituire il Libano ai libanesi – esordisce - bisogna eliminare le discriminazioni verso le donne. Occorre affrancarsi dalla logica del settarismo. Il Libano deve diventare una democrazia laica, dove non ci sono seggi assegnati in base alla religione». In un Paese che poggia su un delicato equilibrio, dove convivono 18 confessioni e il potere si regge su una spartizione (il presidente deve essere un cristiano, il premier un sunnita, il capo del Parlamento uno sciita), le sue parole suonano quasi blasfeme. Eppure non è la sola a pensarlo.

Lei è una delle tante donne scese in politica, quasi tutte sostenute dai organizzazioni dei diritti civili, per sfidare i grandi poteri e le grandi dinastie. Nelle elezioni del 2009, le ultime, erano solo 11 le donne candidate. Al voto di oggi, quando i libanesi torneranno alle urne per eleggere il Parlamento, se ne sono registrate 114 (ne sono rimaste in corsa 88). Sono avvocati, medici, giornalisti, ingegneri, attivisti. Tutte decise a rimettere in piedi il Libano là dove la politica ha fallito: nella sanità, nell’istruzione, nei trasporti pubblici (quasi inesistenti), nell’elettricità, nella raccolta rifiuti. La loro speranza è che in Parlamento siano più numerose delle 4 deputate presenti oggi, legate peraltro a partiti tradizionali.

Sono giovani ma anche meno giovani. Come Dalal Rahbani, cristiana maronita candidata nella lista Beirut al-Watan (Beirut la patria). I suoi modi femminili e l’elegante abbigliamento non ingannano. Lei resta un alto generale dell’esercito, anche se in pensione. «Quando ero vice-direttore generale della Sicurezza nazionale, la sola donna di tutto il Medio Oriente a ricoprire questo incarico, mi chiamavano la lady di ferro. La mia priorità è combattere la grave corruzione che sta distruggendo la nostra economia».

Non è un segreto che in Libano la corruzione sia endemica. Tanto da far precipitare l’anno scorso il Libano al 143° posto su 180 Paesi nella classifica redatta da Transparency International sull’indice di corruzione. «Il fiume di denaro arrivato dai donatori internazionali per aiutare i rifugiati siriani non ha fatto altro che alimentarla» lamenta Dalal. «La corruzione e l’esodo biblico dei siriani arrivati in Libano hanno messo in ginocchio l’economia».

I conti pubblici sono preoccupanti. Il rapporto debito Pil sfiora ormai il 150% mentre il deficit di bilancio viaggia al 9-10% del Pil. La crescita è anemica (poco più dell’1%). Se non fosse per l’efficienza del sistema bancario, tenuto in piedi dal governatore della Banca centrale, Riad Salameh, la situazione sarebbe peggiore. Più pragmatica, Dalal precisa che l’equilibrio confessionale debba esser preservato. Ma anche lei non esita ad usare parole forti quando parla dell’ingerenze dei Paesi stranieri. «Ci sono Paesi che continuano ad usare il Libano per i loro interessi. Il Libano può reggersi sulle sue gambe. Senza Siria, senza Iran, senza Arabia Saudita».

Oggi le urne diranno se gli elettori raccoglieranno gli appelli dei partiti indipendenti. Il timore è che, alla fine, ne esca un quadro molto confuso. E in un Parlamento frammentato chi ne gioverà saranno i movimenti più organizzati. Prima fra tutti gli sciiti Hezbollah, la “longa manus” di Teheran in Libano.

Il voto di oggi resta comunque un appuntamento storico. La nuova legge elettorale, approvata l’anno scorso, introduce per la prima volta un sistema proporzionale dove gli elettori possono esprimere la preferenza per un candidato. Certo, anche questa volta verrà rispettata la base confessionale: sui 124 seggi la metà andrà di diritto ai cristiani, l’altra metà ai musulmani. Ma i partiti indipendenti vogliono far sentire la loro voce. Fieri di essere formazioni trasversali, sperano di aggiudicarsi almeno 11 seggi ed essere così in grado di formare un blocco capace di presentare progetti di legge. I più realisti sostengono che sarà sempre necessario un governo di coalizione. «Sono perplesso che i partiti indipendenti possano ottenere 11 seggi – confida Boulos Matar, arcivescovo cristiano maronita di Beirut - resto convinto che un governo di coalizione sia la miglior soluzione. Il Libano deve restare un modello di convivenza pacifica tra le diverse confessioni per gli altri Paesi mediorientali. Certo i cristiani temono che l’influenza iraniana possa crescere. E sono preoccupati».

Questo è il timore maggiore. Che Hezbollah si rafforzi ancora. Consolidando la presenza del suo grande alleato, l’Iran, sul Mediterraneo. Sarebbe motivo di profonda preoccupazione per l’Arabia Saudita e per Israele. A Gerusalemme è sempre più diffusa la percezione che un nuovo conflitto con Hezbollah non sia più una questione di se, ma di quando.

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