Sono le cinque e mezza del pomeriggio. Una lunga raffica di kalashnikov e colpi di artiglieria esplode nel cielo sopra Beirut. È il segnale. Hassan Nasrallah, il leader del movimento sciita Hezbollah (in arabo significa il Partito di Dio) si appresta ad iniziare il suo atteso discorso televisivo.
«Questa è una grande vittoria politica e morale per la scelta della Resistenza (uno dei nomi con cui viene identificato Hezbollah, ndr) che protegge la sovranità del nostro Paese», esordisce Nasrallah, per poi tendere una mano agli altri partiti: «Se vogliamo la sicurezza e la stabilità del Paese, le parti devono cooperare le une con le altre e riappacificarsi sui temi della politica interna e della politica estera».
Sarà tutt’altro che facile . Ma se c’è un vincitore nelle elezioni di domenica – le prime negli ultimi 9 anni - questo non può essere che Hezbollah, l’alleato di ferro dell’Iran, la sua longa manus nel Libano. Complice una nuova e complessa legge elettorale, che ha introdotto il sistema proporzionale, ieri sera i risultati ufficiali non erano ancora completi. Ma secondo quelli preliminari, la coalizione che vede Hezbollah correre insieme all’altro partito sciita, Amal, e al “Movimento patriottico libero” del presidente della Repubblica, il cristiano Michel Aoun (29 seggi ma un’alleanza tutta da verificare), oltre ad alcuni candidati “indipendenti”, avrebbe ottenuto la maggioranza in Parlamento: 67 seggi su 128. Un successo.
La sconfitta di Hariri e del fronte sunnita
Il perdente, invece, è l’attuale primo ministro Saad Hariri. Il suo partito “Futuro” (Mustaqbal), il più grande nella compagine sunnita libanese, ha dovuto accontentarsi di 21 seggi, un terzo in meno dei 33 delle passate elezioni. Pur accettando la sconfitta Hariri ha sottolineato quella che a suo avviso sarebbe stata la ragione della sua débâcle. «Il problema di questa legge elettorale è che non è stata capita dalla gente», si è lamentato. Per Saad, figlio dell’ex premier Rafik , assassinato il 14 febbraio del 2005 sul lungomare di Beirut (i sospetti caddero subito sul regime siriano e sugli Hezbollah), resta comunque una sconfitta amara, dovuta in verità alle divisioni tra i partiti sunniti.
Il peso di Riad
Lo è anche per l’Arabia Saudita. Fino allo scorso novembre Riad era stata sempre il maggiore sponsor di Mustaqbal. Un sostegno politico e finanziario in contrapposizione alla crescente influenza iraniana nel piccolo ma strategico paese che si affaccia sul Mediterraneo. Il principe reggente saudita, Mohammed Bin Salman, aveva accusato in novembre l’Iran ed Hezbollah di aver orchestrato lanci di missili dallo Yemen in territorio saudita, definendoli «una dichiarazione di guerra». L’insofferenza del principe saudita verso Hariri, criticato per non riuscire a contenere le esuberanze del Partito di Dio nel Governo di unità nazionale, aveva raggiunto il suo punto di crisi in novembre. Quando il premier libanese annunciò le sue dimissioni da una località sconosciuta a Riad, da cui non avrebbe potuto allontanarsi. Si parlò di una sorta di sequestro di Hariri (poi rientrato a Beirut a capo del Governo). Una vicenda ancora avvolta dal mistero. I rapporti tra Riad e Beirut ne hanno risentito pesantemente.
Quanto alla compagine cristiana, le “Forze libanesi” guidate da Samir Geagea - la formazione politica più avversa alla Siria, all’Iran e agli Hezbollah - hanno raddoppiato i seggi arrivando a 15. Invariato il risultato dei falangisti (3 seggi). Sette invece i seggi assegnati ai candidati indipendenti, espressione della società civile. Un buon risultato. Quasi raddoppiata, anche se ancora molto bassa, la presenza femminile in Parlamento (7 seggi).
Un nuovo incarico per Hariri
Alla fine sarà comunque Hariri il leader incaricato di formare quel nuovo Governo di unità nazionale, che soffrirà tuttavia di una presenza filo-iraniana sempre più ingombrante. In Libano la legge stabilisce che il potere deve essere spartito tra le diverse confessioni: il premier deve essere un sunnita, il presidente della Repubblica un cristiano e il capo del Parlamento uno sciita. I 128 seggi del Parlamento debbono poi essere divisi a metà tra musulmani e cristiani.
Nasrallah ha invitato tutti a fare in fretta: «Non dobbiamo perdere tempo. La formazione del nuovo Governo non dovrebbe richiedere sette o otto mesi». Hariri non ha risparmiato le critiche a Hezbollah. «Il presidente ha detto che dopo le elezioni ci sarà una discussione relativa a una strategia di Difesa nazionale. Per quanto riguarda l’argomento delle armi, io sono contrario alla presenza di armi illegittime». L’ennesima critica all’esercito parallelo di Hezbollah, ben più organizzato e armato di quello nazionale libanese. Se molti libanesi riconoscono a Hezbollah il ruolo di Resistenza contro Israele (fu la loro guerriglia a provocare il ritiro delle truppe israeliane dal Sud del Paese, nel 2000), l’invio di migliaia di miliziani nella guerra civile siriana a fianco del regime di Damasco sta provocando molte perplessità, se non un vero e proprio scontento, anche tra i simpatizzanti del Partito di Dio. Anche perché i miliziani libanesi caduti sono stati finora più di 1.500.
Da domani inizieranno le difficili trattative per la formazione del nuovo Governo. Un’incognita. L’unico dato certo, per ora, è la deludente affluenza. Sotto il 50 per cento. Nel 2009 si era fermata al 54. Un segno che i libanesi sono rimasti delusi da una classe politica incapace di dar loro risposte concrete e immediate in un periodo in cui di emergenze ve ne sono davvero molte e gravi: a cominciare dalla guerra civile siriana, con un conflitto tra Israele e Iran che incombe sulla Siria, passando per la corruzione, fino all’anemica economia, tenuta in piedi dalle strategie del governatore della Banca centrale, Riad Salameh.
Il verdetto uscito dalle urne libanesi resta comunque un boccone amaro per Stati Uniti, Israele e Arabia Saudita, che considerano Hezbollah un organizzazione terroristica. Volenti o nolenti dovranno prendere coscienza di un fatto; il Partito di Dio è un soggetto sempre più determinante della politica libanese. Combatterlo, senza provare a parlarci, potrebbe esser controproducente.
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