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Israele-Iran, prove di guerra in Siria. Almeno 23 morti nei raid…

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Israele-Iran, prove di guerra in Siria. Almeno 23 morti nei raid aerei

Ci si aspettava il peggio. Ed il peggio si sta avverando; i prodromi di un confronto militare diretto tra Israele ed Iran in territorio siriano.
I raid israeliani di ieri notte, una rappresaglia in risposta a “decine” di razzi lanciati da milizie iraniane dispiegate in Siria (questa la versione israeliana), l’ennesimo campanello di allarme. Perché quella della notte scorsa è stata definita dagli stessi vertici militari israeliani la “maggior operazione da diversi anni”. Nessun razzo iraniano – ha reso noto l’esercito - sarebbe caduto in territorio israeliano, una buona parte sarebbe stata intercettati dal sistema “Iron dome”.

Durante il primo periodo della guerra civile in Siria , Israele aveva scelto il ruolo di spettatore neutrale. Ovvero quello di un Paese confinante dove al di là del confine i suoi nemici si combattevano in una cruenta guerra. Attento però a non farsi risucchiare dal pantano siriano ma pur sempre determinato a proteggere la sua sicurezza nazionale ogni qualvolta la ritenesse minacciata.
In quest'ottica aveva subito tracciato la sua linea rossa, anzi le sue linee rosse: nessun trasferimento di armi sofisticate agli Hezbollah libanesi, nessuna base iraniana in Siria capace di minacciare la sua sicurezza nazionale, e nessuna presenza di milizie filo-iraniane vicino al confine tra Siria e Israele.
Ogni volta che ha ritenuto fossero state superate, ha reagito con raid aerei in Siria. Dal 2013 ve ne sarebbero stati almeno 100. In principio quasi tutti contro trasferimenti di armi ad Hezbollah e contro siti militari siriani. Negli ultimi mesi, tuttavia, i raid sono stati diretti proprio contro basi aeree siriane utilizzate dai militari iraniani o installazioni iraniane.

La svolta, o l'inizio dei una nuova e pericolosa fase, è avvenuta in febbraio. Quando un drone iraniano, rivelatosi armato di esplosivo (secondo la versione di Gerusalemme), è entrato nello spazio aereo di Israele. L'esercito aveva subito abbattuto il drone, rispondendo con una dura rappresaglia contro la base T-4, da dove presumibilmente veniva azionato. Un caccia F16 era precipitato, probabilmente colpito da sistema anti-aereo siriano. Era la prima volta in quasi 30 anni che un caccia israeliano veniva abbattuto. Per Gerusalemme, che ha sempre cercato di mantenere la superiorità aerea anche in funzione di deterrente – era stato un duro colpo.
Il 9 aprile, il giorno dopo il brutale attacco con armi chimiche sulla regione del Goutha (imputato al regime di Damasco) un nuovo raid israeliano aveva bombardato nuovamente la base T-4. Almeno sette militari iraniani sarebbero stati uccisi. Al contrario di quasi tutte le altre volte, alcuni alti vertici militari israeliani avevano poi confermato l'operazione. Da allora sono scattati altri raid in Siria.

In questi giorni un nuovo e grave elemento di tensione rischia di aggravare la crisi. L'uscita degli Stati Uniti dall'accordo sul nucleare iraniano, caldeggiata da Israele a meno che l’intesa non fosse stata modificata radicalmente, potrebbe far precipitare la situazione in Medio Oriente.
Già a inizio giugno Teheran e Gerusalemme non si erano risparmiati le minacce: «Demoliremo ogni sito dove vedremo un tentativo dell’Iran di stabilirsi», aveva avvertito il ministro della Difesa israeliano Avigdor Liberman, aggiungendo: il regime iraniano sta vivendo “i suoi ultimi giorni”. Da Teheran la risposta non si era fatta attendere: “Centomila missili sono pronti per volare”, aveva replicato Hossein Salami, il vice comandante delle guardie rivoluzionarie. Parlando di “collasso” di Israele. Pochi giorni fa il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha alzato ancora la retorica dello scontro; Israele potrebbe andare in Guerra con l’Iran “più prima che dopo”.

Ci sono stati colpi di Stato e rivoluzioni. Invasioni di potenze straniere (gli Usa in Iraq nel 1991 e nel 2003) e conflitti per procura. Ma era dai tempi della sanguinosa e luna guerra tra Iran e Iraq (1980-1988) che la regione non vedeva un conflitto aperto tra due potenze rivali. Questa volta c’è anche un campo di battaglia: la Siria. Forse mai come oggi Israele e Siria sono stati vicini ad una guerra.
Eppure sembra che questa guerra, apparentemente probabile, non la voglia nessuno degli attori coinvolti. Né Israele, né l’Iran, né Hezbollah. Certo non l’Europa, e probabilmente neppure gli Stati Uniti. Tutti preoccupati delle disastrose conseguenze che potrebbero scaturirne se la situazione sfuggisse di mano.
È stato proprio lo stesso Liberman, consapevole delle drammatiche conseguenze di un conflitto regionale in cui verrebbero inevitabilmente risucchiati anche gli Hezbollah, il movimento sciita libanese alleato di Teheran e nemico di Israele, che prima ha usato toni bellicosi - “Se pioverà in Israele, ci sarà una tempesta in Siria” – ma li ha poi temperati con una sorta di invito a non far precipitare la situazione: «Spero che questo capitolo sia chiuso e ognuno abbia ricevuto il messaggio».

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