Se questo è un merito, il trasloco di Trump a Gerusalemme, il settimanale massacro lungo il reticolato di Gaza, la celebrazione dei 70 anni d’Israele e la speculare rievocazione dell’inizio dell’esilio palestinese, servono a una cosa: a ricordarci che il più antico e coriaceo conflitto del Medio Oriente esiste ancora. Nella classifica delle emergenze regionali e internazionali è stato ampiamente declassato da altre guerre. Ma c’è sempre.
Il suo primo scontro registrato dalla storia è del 1918, quando gli inglesi avevano appena preso il posto dell’impero ottomano in Palestina. Contro le raccomandazioni della polizia, un insegnante e alcuni studenti ebrei erano passati con una bandiera per la porta di Jaffa, nella città vecchia di Gerusalemme. Due giovani arabi, un musulmano e un cristiano, li aggredirono: picchiarono l’insegnante e spezzarono l’asta della bandiera. Furono arrestati e Ronald Storrs, il governatore inglese della città, li condanno a scusarsi con l’insegnante e a pagare per l’asta spezzata. I due palestinesi chiesero scusa ma non avevano i soldi per risarcire il danno. Pagò Storrs nella speranza di chiudere la disputa.
Non ci riuscì e le cose non furono mai più così semplici. Gli scontri successivi sarebbero stati sempre più sanguinosi: sassi, coltelli, fucili, bombe, dirottamenti; milizie e terrorismo, eserciti contro fedayin, nazionalismi e religione. Il caos mediorientale di oggi ci preoccupa per l’instabilità che provoca anche oltre il perimetro delle battaglie. Il conflitto israelo-palestinese fu uguale: causò molte guerre mediorientali; in quella del 1973 russi e americani furono vicini a uno scontro nucleare; israeliani e palestinesi superarono i confini del loro scontro compiendo attentati ed esecuzioni nelle città europee. La grande ondata migratoria causata da quel conflitto non ha mai modificato il profilo elettorale europeo come quelle di oggi. Diversamente dai siriani, gli iracheni, gli afghani, i profughi palestinesi non “invasero” il vecchio continente. Rimasero nella regione, destabilizzando però la Giordania e il Libano.
Lo scontro per la conquista della terra, la Palestina, è stato resistente a ogni mutamento politico. I due nemici si sono combattuti nei 30 anni di mandato britannico; la loro ostilità è uscita intatta dalla Seconda guerra mondiale e dalla Guerra fredda. Dopo una breve illusione di pace fra Madrid, Oslo e Camp David, è ripresa come prima anche nel nuovo ordine internazionale, ostinatamente impermeabile a ciò che accadeva attorno. Un duello così duro e focalizzato nella sconfitta dell’altro al punto che fra i palestinesi non c’è stata una primavera araba né un fenomeno jihadista. È l’unico conflitto che l’Isis non è riuscito a penetrare.
Quello che ieri è accaduto fra la striscia di Gaza e Israele è un perfetto esempio del punto al quale è arrivato lo scontro. Hamas non ha scrupoli nel mandare ondate di ragazzi ad affrontare i loro coetanei israeliani dell’esercito più armato e meglio addestrato del Medio Oriente. E i ragazzi israeliani non esitano a sparare per uccidere anche chi non rappresenta una minaccia alla sicurezza e all’esistenza dello stato ebraico.
Sarà difficile smaltire questa grande quantità di odio, di fronte a un così modico desiderio di giustizia. Solo dei leader visionari potrebbero provarci. Perché non bisogna fare un miracolo e trovare una formula per la pace: quella c’è già, costruita dai negoziatori israeliani e palestinesi nella breve fase di reciproca comprensione negli anni Novanta.
Mancano gravemente i leader visionari. Al potere in Israele c’è un governo che vuole conquistare tutta la terra; a Gaza governano gli estremisti sostenitori dello scontro permanente; e a Ramallah c’è un presidente che usa l’arma di un antisemitismo desueto e insopportabile perfino in Europa. Da oggi l’ambasciata americana a Gerusalemme aprirà al pubblico i suoi uffici. Probabilmente ci saranno altri morti alla frontiera di Gaza e forse di nuovi anche in Cisgiordania per l’anniversario della Nakba, la catastrofe palestinese iniziata nel 1948, proseguita nel 1967, apparentemente senza fine. Poi, fra qualche giorno, torneremo a occuparci delle guerre e delle crisi più urgenti, lasciando israeliani e palestinesi alla loro faida.
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