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Per il nuovo governo la sfida del realismo

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L'Analisi|le mosse di berlino

Per il nuovo governo la sfida del realismo

Finalmente qualcosa si muove in Europa. E si muove perché finalmente la Germania pare decisa a muoversi. L’Italia del nuovo Governo di Giuseppe Conte potrebbe cogliere l’occasione per provare a tirare dalla sua la coperta stretta del cambiamento che si annuncia, a patto di entrare nel grande gioco con realismo, conti pubblici e rispetto delle regole Ue alla mano. Smettendo di sognare l’impossibile. O di teorizzare sbandate da patti e Trattati: non sarebbero tollerati.

Ci provò tre anni fa la Grecia di Alexis Tsipras e pagò carissimo l’errore. Ci ha provato in modo diverso nel settembre scorso anche la Francia dell’europeista Emmanuel Macron tracciando, nel discorso della Sorbona, il suo percorso di rottura dello status quo in nome di un’Europa e di un euro più forti, moderni, efficienti, coesi e coerenti. Idea non lontana da quell’«Europa più forte, più giusta e con minori divergenze interne» evocata da Conte in Senato.

Muro di gomma a Berlino, isolamento di Macron dovunque.

Ora, dopo quasi un anno di irritati borbottii ma sostanziale mutismo, soprattutto dopo la riesplosione del rischio Italia sui mercati che allarma l’intera eurozona, Angela Merkel ha rotto gli indugi presentando il proprio Manifesto europeo. Con tutti i puntini sulle “i” delle riforme da fare. E delle cose da evitare.

Non a caso dalla tribuna del Bundestag, ieri ha lanciato anche un avvertimento all’Italia: «Con la Grecia abbiamo trattato in modo molto duro e alla fine abbiamo raggiunto un buon accordo. Con il nuovo governo italiano dobbiamo parlare gli uni con gli altri. Noi diremo che l’Unione europea si basa sul rispetto delle regole da parte di tutti».

Niente rivoluzione e neppure riforme epocali dal cancelliere.

I soliti cauti piccoli passi che non esaltano nessuno, men che meno gli ardori nuovisti dell’Eliseo o il neo-rivendicazionismo nostrano, ma forse sono gli unici in grado di far uscire l’Europa dall’immobilismo raccogliendo il necessario consenso generale nel club delle divisioni incorreggibili.

La Merkel sa bene di avere ben pochi margini di manovra in casa. Come sa nell’Unione di non poter correre troppo sull’integrazione per non scontrarsi con il blocco del Nord e dell’Est, di non poter concedere granchè sulla solidarietà, finanziaria e non, per non perdere il sostegno dell’euro-nord. Però sa anche di non poter esigere solo responsabilità e disciplina dal Sud senza dare niente in cambio e senza correggere almeno un po’ il sistema Europa, visto che l’attuale, con i suoi eccessi rigoristi, di sicuro l’ha economicamente risanato, ma l’ha distrutto politicamente e socialmente approfondendone i fossati culturali, alimentando euroscetticismo, populismi e sovranismi che ne erodono le fondamenta e stressano le democrazie parlamentari.

Per questo la svolta di Angela c’è ma è molto controllata. Combina infatti l’irremovibile rifiuto alla mutualizzazione di debiti e rischi in qualsiasi declinazione, il mantra del dovere di responsabilità di tutti i paesi euro a provvedere da soli a mettere ordine nei propri conti e a creare crescita con riforme adeguate, con alcune aperture molto misurate alle ragioni del bene comune.

Di qui la disponibilità ad aumentare il contributo tedesco al futuro bilancio pluriennale Ue, a costituire un nuovo fondo per gli investimenti in innovazione tecnologica a beneficio di tutti i paesi euro. Ad accettare l’intervento del Meccanismo europeo di Stabilità (Esm) nell’unione bancaria a sostegno del Fondo di Risoluzione Unica, fermo restando il no alla garanzia unica sui depositi finché non saranno ridotti i rischi nei bilanci delle banche. Il futuro Fondo monetario europeo (Fme), rigorosamente intergovernativo, erogherà prestiti ai paesi in crisi dietro stretta condizionalità (variabile secondo la loro durata), e veglierà sulla sostenibilità dei debiti pubblici senza escludere una loro ordinata ristrutturazione.

L’Europa alata e innovativa di Macron resta a terra. La Germania si arrocca sulla propria dottrina europea tradizionale: responsabilità individuali, poca solidarietà collettiva, minima redistribuzione dei suoi surplus.

Sono questi i tanti paletti dentro i quali dovrà muoversi l’Italia per affermare i suoi interessi e le sue ragioni. Sapendo di non avere, come Macron, grandi alleati da mobilitare, di avere sul collo il fiato dei mercati in fermento, gli spread che si allargano minacciando la sostenibilità del debito, la Bce in graduale ritirata sul QE e la trappola greca accuratamente da schivare. L’Italia è too big to fail ma anche too big to save. Per questo la Merkel cita lo scenario ellenico non in versione Grexit ma saltando all’happy end raggiunto alla fine. In breve, apre al negoziato con l’Italia di Conte che però dovrà conquistarsi una solida credibilità per poter scommettere a sua volta sull’happy end della sua sfida europea.

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