Donald Trump vedrà Singapore, con Kim Jong-un: appuntamento la mattina di martedì 12 giugno 2018 al Capella Hotel dell'isola di Sentosa, di fronte alla città di Singapore, per un vertice che sarà sicuramente storico (prima assoluta di un incontro diretto tra un presidente Usa in carica e un leader nordcoreano) e di enorme impatto mediatico, ma che difficilmente porterà a decisivi risultati immediati.
Kim Jong-un e Donald Trump sono arrivati a Singapore domenica. Il presidente americano è atterrato con l’Air Force One alla Paya Lebar Air Base, nella zona centro-orientale dell'isola dopo un volo di circa 17 ore dal Canada dove ha partecipato al summit G7.
Kim era invece a bordo dell'aereo privato di Air China, un Boeing 747-4J6 partito in mattinata da Pyongyang e usato dal governo cinese per il trasporto dei funzionari di governo, incluso il presidente Xi Jinping. Ha poi incontrato il premier Lee Hsien Loong, il quale ha detto che Singapore è pronta a pagare i costi organizzativi per circa 20 milioni di dollari del summit come contributo diretto della città-stato agli sforzi internazionali di pace e stabilità regionale.
Nelle ultime dichiarazioni, Trump è stato ancora una volta piuttosto contraddittorio. Ha insistito che il summit “non sarà una “photo-op” (una mera occasione mediatica) e che potrebbe esser firmato un accordo di massima per la normalizzazione dei rapporti e la trasformazione in trattato di pace del regime attuale di armistizio nella penisola coreana, ma ha ammesso che sarà solo “un primo passo” e che “il difficile verrà dopo”. Ha espresso ottimismo e baldanza (“Il mio onore è coinvolto”, “Credo veramente che abbiamo la possibilità di fare qualcosa di incredibile per il mondo”), ma anche confermato che potrebbe alzarsi dal tavolo negoziale e andarsene di punto in bianco. Non parla più di mantenere “massime pressioni” ma solo “pressioni” per indurre la controparte alla denuclearizzazione, ma si è detto pronto a rafforzare ulteriormente le sanzioni se i colloqui andassero male.
Senza escludere nemmeno di invitare Kim alla Casa Bianca se il vertice sarà un successo. Replicando alle critiche su una presunta insufficienza della preparazione del summit all'interno dell'Amministrazione, Trump ha persino svalutato la necessità di un ampio lavorio preparatorio: “Penso di essere ben preparato. Non penso di dovermi preparare troppo. E' più una questione di atteggiamento, di volontà di realizzare le cose”. Trump avrà come braccio destro a Singapore il segretario di Stato Mike Pompeo, che ha reiterato l'obiettivo Usa di una Corea del Nord denuclearizzata in modo completo, verificabile e irreversibile. Il problema spinoso è che Kim non considera la denuclearizzazione della penisola come un processo di disarmo unilaterale e che non appare disposto a rinunciare a un deterrente fondamentale contro eventuali tentativi di “regime change” spesso evocato dal'attuale consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton.
Bolton appare marginalizzato per le sue posizioni estremiste e le recenti dichiarazioni che avevano provocato un'aspra reazione nordcoreana fino a indurre Trump a cancellare il summit (decisione poi revocata in seguito al ritorno di Pyongyang a un atteggiamento accomodante).
KIM GIÀ VINCITORE. Molti analisti sottolineano che il leader nordcoreano può già essere considerato il vincitore del summit, prima ancora che avvenga. Dopotutto, solo fino a qualche mese fa era considerato una specie di paria a livello internazionale: isolato, con la fama di assassino di zio e fratellastro, sbeffeggiato da Trump come Little Rocket Man, minacciato di annientamento. L'incontro con il presidente americano legittima lo status del giovane leader e ne alza la statura politica sia a livello internazionale sia all'interno del suo stesso Paese. Ora Kim è desiderato per incontri da alleati e non. Il tema dei diritti umani è scomparso dai radar. Da ultimo, Putin l'ha invitato a Vladivostock. E occorre lasciar passare questo weekend per vedere se per caso non befferà Trump presentandosi, prima del vertice di Singapore, a Qingdao al summit Sco per incontrarsi con Xi Jinping (con cui si è di recente già visto due volte) e con il presidente russo.
L'INCONTRO CON ABE – Il premier giapponese Shinzo Abe ha chiesto e ottenuto udienza alla Casa Bianca giovedì, prima di incontrare Trump al G7, al palese scopo di attutire la sensazione che il Giappone sia marginalizzato nella rapida evoluzione diplomatica riguardante il problema nordcoreano. Abe ha ottenuto la conferma che Trump accederà alla richiesta nipponica di sollevare con Kim la questione dei cittadini giapponesi rapiti dai nordcoreani negli anni '70 e '80 (che per Pyongyang è stata chiusa). Formalmente, i due leader alleati hanno concordato di mantenere pressioni sulla Corea del Nord per la denuclearizzazione. Ma le loro posizioni di fatto divergono, non solo perché per gli Usa il tema dei rapiti giapponesi non è tanto importante. Tokyo cercare di sensibilizzare Trump ad alzare sempre più l'asticella, chiedendo un atteggiamento rigido finalizzato a cercare di ottenere l'impossibile, ossia che Pyongyang rinunci anche ai missili a medio raggio in grado di colpire l'arcipelago.
Priorità americana è invece che si fermi il programma nordcoreano dei missili intercontinentali potenzialmente in grado di veicolare armi nucleari e colpire l'America del Nord. Il presidente americano, inoltre, sembra ormai accettare il concetto di un processo graduale di denuclearizzazione, durante il quale si dovrà pur concedere qualcosa a Pyongyang in termini di riduzione delle sanzioni (cosa che Tokyo non gradisce, perché significherebbe minori pressioni internazionali su una Corea del Nord che resterebbe un Paese nucleare). Abe, al pari di Trump, ha bisogno di successi in politica estera da spendere all'interno, dove le difficoltà aumentano: tornerà dopo il G7 in patria potendo sostenere che il Giappone non viene trascurato né in generale né sulle questioni specifiche di suo maggiore interesse.. Ma il premier ha dovuto accettare che il mese prossimo inizino negoziati commerciali con gli Usa, che chiedono un Free Trade bilaterale molto temuto da Tokyo (che è però terrorizzata dalla minaccia di Trump di introdurre dazi all'import di auto).
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