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Perché la Fed accelera la stretta sui tassi

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POLITICA MONETARIA

Perché la Fed accelera la stretta sui tassi

La Federal reserve accelera la stretta. La Banca centrale Usa non ha semplicemente alzato i tassi di 0,25 punti percentuali, portandoli nel corridoio compreso tra l’1,75% e il 2%, ma ha lanciato il segnale - nelle sue proiezioni sul futuro del costo ufficiale del credito - di voler cambiare ritmo. Nel 2018, quindi, si potranno avere altri due rialzi - presumibilmente a settembre e dicembre - per un totale di quattro, al posto dei tre rialzi immaginati finora.

Un rialzo in più nel 2018...
I “dots”, le previsioni dei governatori sul livello dei tassi visualizzati con un grafico a punti, indicano infatti che a fine anno i componenti del comitato di politica monetaria (Fomc) si aspettano tassi compresi tra il 2,25% e il 2,50% e non più tra il 2 e il 2,25% come a marzo. L’incertezza delle previsioni si è inoltre ridimensionata e dunque è difficile immaginare una marcia indietro. A fine 2019, i Fed funds rate potrebbero quindi essere compresi tra il 3% e il 3,25%, e non più tra il 2,75 e il 3%, mentre non cambiano le indicazioni per fine 2020, quando i tassi potranno essere compresi tra il 3,25% e il 3,50%.

...ma la stretta non cambia l’obiettivo
Non si può dunque dire che la Fed sia diventata più “falco” rispetto a tre mesi fa. Anzi il livello di lungo periodo dei tassi ufficiali, che a marzo era indicato (nella mediana) compreso tra il 2,75% e il 3%, ora appare leggermente più basso, al 2,75%, lo stesso livello indicato a dicembre e settembre 2017. Quasi invariata la media, al 2,85%. L’intera revisione dei dots, quindi, si traduce nell’anticipare la successione dei rialzi, senza una vera e significativa variazione dell’obiettivo finale.

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In rialzo crescita e inflazione
Le nuove proiezioni sui tassi riflettono una nuova valutazione delle prospettive su crescita e inflazione. Il pil degli Stati Uniti è previsto in crescita, nel 2018, del 2,8%, rispetto al 2,7% indicato a marzo (mentre sono rimasti invariati i numeri per il 2019, il +2,4%, e il 2020, il 2%. L’inflazione, che avrebbe dovuto gradualmente passare, in tre anni, dall’1,9% al 2,1% è ora prevista stabile al 2,1% nel 2018, 2019, e 2020. La circostanza che i tassi, nel 2020, saranno almeno 0,50 punti percentuale più elevati del livello di lungo periodo, significa che la Fed prevede comunque maggiori pressioni sui prezzi, generate probabilmente da un rialzo dei salari, la cui dinamica resta più lenta delle attese, forse frenata - ha detto il presidente Jerome Powell in conferenza stampa - dalla bassa produttività.

Cessato allarme sulla bassa inflazione...
Anche dal comunicato ufficiale del Fomc emerge maggiore ottimismo rispetto al passato: il ritmo della crescita, «moderato» a maggio, è diventato «solido». Le spese dei consumatori, che avevano rallentato, ora sono giudicate in rialzo, con investimenti che continuano a crescere rapidamente. Manca, soprattutto, l’indicazione secondo cui «il tasso sui Federal funds resterà verosimilmente, e per qualche tempo, al di sotto del livello considerato prevalente nel lungo periodo» (ossia al di sotto del 2,75%).

...ma «è presto per cantare vittoria»
Si sono quindi ridimensionate le preoccupazioni sull’inflazione, anche se è presto, ha spiegato Powell in conferenza stampa, per dichiarare vittoria. La frase «il comitato monitorerà attentamente l’inflazione attuale e attesa» in ogni caso non compare più nel comunicato ufficiale. Qualche timore, ha piuttosto rivelato en passant il presidente, è ora causato dalla velocità del credito alle imprese. Un buon motivo, questo, per cambiare ritmo.

Cautela sulle riforme fiscali
Il presidente Jeromy Powell ha anche invitato a non collegare troppo strettamente l’ottimismo oggi prevalente alla Fed alle riforme fiscali varate dall’Amministrazione Trump. Se in generale - ha spiegato - imposte più basse potranno trasformarsi, attraverso i maggiori investimenti, in un miglioramento della produttività e in un aumento della crescita potenziale, l’intensità e i tempi - in genere lunghi - di questi effetti «sono incerti». La crescita di lungo periodo, che può essere considerata una valutazione della crescita potenziale, non a caso è rimasta stabile all’1,8% rispetto a marzo. Analogamente, Powell- pur rifiutandosi di commentare la politica commerciale di Trump - ha giudicato un «rischio» quello generato dalla corsa ai dazi che si annuncia a livello internazionale.

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