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Come funziona Schengen e perché le frontiere non possono essere chiuse

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IL REGOLAMENTO

Come funziona Schengen e perché le frontiere non possono essere chiuse

Sembrava uno slogan, sta diventando una minaccia. Il fallimento del mini-summit sui migranti di domenica 24 giugno potrebbe infliggere un colpo decisivo all’architettura dell’intero progetto europeo: il crollo del sistema Schengen, l’accordo che consente la libera circolazione in 26 paesi del Vecchio Continente. Il sistema è uno dei bersagli preferiti delle forze euroscettiche, in larga parte perché accusato di favorire la pressione dei flussi migratori (anche se in realtà la circolazione è facilitata all’interno dei confini europei, non quando si accede dall’esterno). Ma che cosa prevedono le norme? E davvero si può sospendere il regolamento da un momento all’altro, come è stata accusata di fare la Francia in occasione degli episodi di Ventimiglia? Di fatto, no. Ma le conseguenze dello scontro frontale che si sta consumando in Europa marciano verso una direzione più drastica: il ritiro del patto che ci ha abituato per anni a viaggiare da un paese europeo all’altro con la sola carta di identità in tasca, sbarcando in aeroporti francesi o tedeschi come se non fossimo mai usciti dai confini italiani.

Che cosa si intende per «spazio Schengen»?
Lo spazio Schengen, chiamato così dopo l’accordo raggiunto nel 1985 nell’omonima città lussemburghese, è uno spazio di libera circolazione che consente il movimento di persone, merci e servizi all’interno di 26 paesi (22 membri Ue più quattro esterni: Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera), per un totale di oltre 400 milioni di cittadini interessati. L’accordo è stato diluito prima in una convenzione applicativa nel 1990 (entrata in vigore nel 1995), poi in un regolamento nel 2006 (562/2006, il cosiddetto Codice frontiere Schengen, aggiornato e modificato negli anni successivi: la Commissione europea sta discutendo ora, ironia della sorte, un’ulteriore modifica per snellire le pratiche nein controlli alla frontiera dei cittadini extra-Ue). I primi paesi a far cadere i controlli alla frontiera sono stati, nel 1995, Belgio, Germania, Spagna, Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi e Portogallo. L’Italia si è aggiunta nel 1997.

Cosa prevede il «codice frontiere»?
A grandi linee, il codice istituito dal regolamento prevede che non si effettuino controlli alle frontiere interne ma solo su quelle esterne: si può circolare liberamente fra i paesi Schengen, a prescindere dalla nazionalità, mentre si viene controllati quando si entra ed esce dalla frontiera condivisa dello spazio. I cittadini Ue che tornano nell’area Schengen sono sottoposti a una verifica, anche se minima. Viceversa, i cittadini di paesi terzi in ingresso devono fornire una documentazione che varia a seconda degli accordi siglati bilateralmente fra Ue e paesi terzi. Per alcuni paesi è richiesto un visto che consente di «soggiornare e viaggiare nei territori degli Stati Schengen per un massimo di 90 giorni nell'arco di un periodo di 180 giorni». Con la scomparsa delle frontiere interne, i paesi si impegnano a uno sforzo condiviso per la gestione dei quelle esterne, ad esempio con attività di cooperazione poliziesca e controlli efficaci.

Davvero può essere sospeso?
Quando si parla di “sospendere” Schengen si intende, in realtà, il ripristino di controlli alle frontiere interne: si effettuano dei controlli in entrata ed uscita dai confini di un certo paese Ue, come succede abitualmente quando si viaggia fuori dal perimetro del Vecchio Continente. Ai sensi dell’articolo 25 del codice, «in caso di minaccia grave per l'ordine pubblico o la sicurezza interna di uno Stato membro», si può «in via eccezionale ripristinare il controllo di frontiera in tutte le parti o in parti specifiche delle sue frontiere interne per un periodo limitato della durata massima di trenta giorni o per la durata prevedibile della minaccia grave se questa supera i trenta giorni». Sempre in caso di «circostanze eccezionali», si può arrivare a una proroga massima di due anni, anche se la modifica proposta dalla Commissione vorrebbe ampliare questi termini. Secondo dati della Commissione europea, il ripristino dei controlli è avvenuto un totale di 92 volte dal 2006 al 2017: in 56 casi la “stretta” è scattata fra settembre 2015 e novembre 2017 (in 44 occasioni per ragioni connesse ai migranti).

E in Italia? È mai successo?
L’Italia ha ripristinato i controlli alla frontiera in un totale di tre occasioni, sempre in concomitanza con vertici internazionali: in occasione del G8 di Genova (14-21 luglio 2001), per il G8 dell’Aquila (28 giugno-15 luglio 2009) e, più di recente, per il G7 di Bari e Taormina (10 maggio-30 maggio 2017). In tutte e tre le circostanze si sono creati gli estremi per «l’eccezionalità della misura».

E come si “sposa” con le richieste di diritto di asilo di cittadini extra-Ue?
Il diritto di asilo viene tenuto in considerazione nel cosiddetto Codice frontiere di Schengen, come circostanza eccezionale per l’ingresso di cittadini terzi. Ma il principio viene già disciplinato in altre sedi, garantendo la protezione dell’Europa a chi dimostra di averne bisogno.
L’esame delle richieste rientra nel Regolamento di Dublino III, il regolamento che stabilisce «criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo». Inoltre, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sanscisce al suo articolo 18 che «il diritto di asilo Ł garantito nel rispetto delle norme stabilite dalla convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e dal protocollo del 31 gennaio 1967, relativi allo status dei rifugiati, e a norma del trattato che istituisce la Comunità europea».

Cosa succederebbe se Schengen saltasse?
La conseguenza di maggiore impatto per i cittadini sarebbero i controlli alla frontiera: addio alla libera circolazione da uno Stato all’altro e ritorno di verifiche approfondite, con controllo dei passaporti analogo a quello svolto quando si esce dal perimetro dell’Unione europea. Una complicazione che diventerebbe anche più grave nel caso dei «cross-boarder commuters», i milioni di cittadini europei che si spostano regolarmente per lavoro da un paese Ue all’altro. Allargandosi ai fattori macroeconomici, bisognerebbe calcolare danni economici (dalle spese per il ripristino infrastrutturale dei controlli alla penalizzazione dell’import-export interno all’Eurozona,), rebus diplomatici (come si regolerebbero i rapporti fra singoli Stati?) e qualche incognita più inquietante, come la chiusura definitiva delle frontiere da parte dei paesi più ostili all’integrazione comunitaria.


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