Il verdetto è chiaro: Erdogan ha vinto. Anzi, ha stravinto. Perché non solo è stato riconfermato presidente al primo turno con un rassicurante margine di vantaggio. Ma anche perché la coalizione guidata dal suo partito, l'Akp, in cui figuravano gli ultra-nazionalisti dell'Mhp, si è aggiudicata la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento in quella che alla vigilia del voto appariva invece una battaglia serrata potenzialmente capace di premiare l'opposizione. E perché, stando ai dati ufficiali, l'affluenza sarebbe stata altissima, l'87 per cento.
Per Muharrem Ince, il candidato del maggior partito di opposizione, il Chp, i risultati di questa mattina, sono implacabili. Erdogan è presidente al primo turno con il 53% dei voti. La sua coalizione ha conquistato 343 seggi su 600.
L'uomo al potere da quasi 16 anni in Turchia, potrà ora avere le mani libere e portare avanti le sue riforme, economiche e sociali, molte delle quali viste con una certa preoccupazione da diversi Paesi europei.
Poteri quasi assoluti
Grazie al referendum approvato nell’aprile del 2017, che trasforma la Turchia in una Repubblica presidenziale, Erdogan si troverà a governare un Paese con poteri quasi assoluti e con un Parlamento accondiscendente, pronto ad esaudire le sue richieste.
Non avrà più a che fare con un premier, perché la sua figura è stata rimossa. E potrà contrare su un Gabinetto di ministri non obbligato a rispondere al Parlamento. Erdogan potrà inoltre piazzare i suoi uomini nelle cariche strategiche: avrà infatti l’autorità per nominare i membri del Consiglio Superiore della Magistratura, i pubblici ministeri, e sarà anche in grado di emanare ordini esecutivi (non però in materia di diritti fondamentali e diritti politici). Potrà perfino restare capo del suo partito e scegliere i candidati al Parlamento. Avrà una serie di poteri anche sul budget.
La sfida all'economia
Non saranno comunque tempi facili per il presidente definito dai suoi rivali un sultano. Le sfide sono tante. La più importante è far quadrare i conti pubblici e scongiurare un grave surriscaldamento dell'economia. Le sue riforme populiste hanno sì consolidato la crescita - anche nel primo trimestre il Pil è salito del 7,4% - ma al contempo hanno portato a un pericoloso indebitamento: il deficit delle partite correnti potrebbe ulteriormente salire e arrivare al 6 per cento del Pil (oggi è al 5,5%), l’inflazione ha superato il 12,5% mentre gli investimenti stranieri, indispensabili per finanziare il deficit, stanno calando vistosamente da mesi. È plausibile che questo trend possa proseguire.
La battaglia contro la Banca Centrale
Forte dei suoi nuovi poteri Erdogan potrà inoltre aprire ufficialmente le ostilità con la Banca Centrale. Rea, ai suoi occhi, di aver deciso tre rialzi dei tassi di interesse negli ultimi due mesi. Una manovra duramente criticata dal presidente, che non ha esitato a definire i tassi alti «la madre ed il padre di tutti i mali». Lui stesso non ha mai nascosto di voler guidare la politica monetaria del Paese.
Quali siano le sue nuove ricette contro la dirompente svalutazione della lira turca per ora resta un mistero. Erdogan sa che non può permettersi un'ulteriore svalutazione. Eroderebbe ulteriormente il potere di acquisto, già seriamente provato, della sua base elettorale. Composta soprattutto dai ceti meno abbienti. Negli ultimi 14 mesi la lira ha già perso il 30% nei confronti del dollaro americano (il 50% dal 2015). Oggi l’affermazione di Erdogan ha prodotto nelle prime ore degli scambi un netto rialzo della lira e della Borsa di Istanbul (entrambe +2%) ma presto il rimbalzo è sfumato.
La politica internazionale
Anche sul fronte della politica internazionale il presidente turco avrà le mani libere. Potrà portare avanti la sua campagna militare nel nord della Siria volta a liberare le regioni a ridosso del confine turco dalla presenza delle milizie curdo siriane (le Ypg). Si sentirà libero di rafforzare i rapporti non solo con la Russia, ma anche con l’Iran. Il suo alleato di Governo, il partito ultranazionalista Mhp, chiederà probabilmente un inasprimento della campagna contro i curdi.
Sono proprio i curdi e l'Mhp e i due “problemi minori” per Erdogan. Perché il partito curdo (Hdp) è infatti riuscito a superare la soglia di sbarramento del 10 per cento ed avrà quindi una voce, per quanto flebile, in Parlamento. Il grande successo degli ultranazionalisti dell'Mhp, che hanno conquistato 30 seggi (11%), potrebbe portare il nuovo presidente a delle concessioni. Senza di loro, infatti, l'Akp si trova a 293 seggi, quindi senza la maggioranza assoluta.
Insomma quella che oggi si è svegliata è una Turchia nazionalista, più lontana dall'Europa, probabilmente anche dagli Stati Uniti e più mediorientale. Ma una Turchia ancora spaccata in due.
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