STRASBURGO - «Noi nel Partito popolare europeo? Valuteremo dopo le elezioni». Quando gli hanno posto la domanda, alla conferenza stampa sul suo discorso di mercoledì alla plenaria di Strasburgo, il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki non è sembrato imbarazzato. Forse perché aveva a fianco il presidente (popolare) dell’Europarlamento Antonio Tajani, interessato a preservare l’amicizia con Varsavia come «mediatrice» verso l’Europa di Visegrad. O forse perché il suo partito Diritto e Giustizia (italianizzazione di Prawo i Sprawiedliwość, abbreviato in Pis) sta seguendo una strategia comune alle forze europee del sovranismo: spostarsi su posizioni sempre più nazionaliste senza uscire dal perimetro dei gruppi politici istituzionali.
Anzi, condurre una radicalizzazione delle politica europea direttamente dal cuore del Ppe, il gruppo che ospita già formazioni come Fidesz (il partito nazionalconservatore del premier ungherese Viktor Orban) e l’Unione cristiano sociale (Csu): la costola bavarese della Cdu di Angela Merkel che ha obbligato la Cancelliera a un accordo restrittivo sui migranti. Il governo polacco di Morawiecki è accusato di reprimere la libertà di stampa, violare la parità di genere e, più di recente, invadere le competenze del potere giudiziario con l’epurazione di giudici sgraditi. Un tempo la sua presenza nel Ppe sarebbe sembrata almeno bizzarra. Oggi, visto il clima che si è creato, non più.
La scalata al Ppe dall’interno
L’asse che si verrebbe creare, e si è in parte già creata, percorre da ovest a est l’Europa passando per l’Italia (con la Lega di Salvini e forse i Cinque stelle, costretti al “rimorchio” delle posizioni del ministro degli Interni), l’Austria (il Partito popolare austriaco, spostato a destra dalla linea del primo ministro Sebastian Kurz), la Baviera (si veda la Csu di Horst Seehofer, il ministro che è diventato una spina nel fianco per Merkel) e appunto Fidesz di Orbán, ora impegnato a fare pressing sul Ppe perché accolga tra le sue file “persino” il suo alter ego polacco Diritto e giustizia. Morawiecki, come si è visto, non ha preclusioni. Una quota del Ppe forse sì, ma la debolezza della prima forza all’Europarlamento (219 seggi) consentirebbe a Orbán di portare avanti un progetto già annunciato: «rinnovare il Ppe e riportarlo alle sue radici», come ha auspicato il leader ungherese in un discorso in memoria dello storico segretario tedesco Helmut Kohl.
Fuori di metafora, si tratterebbe di prendere le redini dei Popolari e spostarsi su un orizzonte funzionale più al blocco di Visegrad che alla traballante guida di Merkel. Del restoOrbán non ha, di fronte a sé, una coalizione compatta o del tutto insensibile al fascino di un «leader forte» che si fa tanto più accentuato con le fragilità della cancelliera. «I popolari sono spaccati a metà», si mormorava a Strasburgo durante la plenaria che ha inaugurato la presidenza austriaca, ma l’atmosfera sarebbe stata evidente anche senza voci di corridoio. Quando il capogruppo del Ppe Manfred Weber ha provato ad alzare i toni di condanna di fronte a un Morawiecki che difendeva la «purga dei magistrati» che si sta consumando a Varsavia, l’ironia dei presenti è stata tempestiva: parla «l’alleato di Orbán», alludendo sia alla presenza di Fidesz nel Ppe sia al fatto che la Csu, il partito di Weber, è tra i motori di traino delle sintonie fra la Germania e il cosiddetto blocco di Visegrad. Come si sopravvive a questa contraddizione? Raggiunto dal Sole 24 Ore, Weber fa sapere tramite i suoi portavoce di non avere nulla da aggiungere a quanto ha detto pubblicamente.
Il «grimaldello» dei migranti
I capisaldi dell’internazionale «popolare-populista» si impianterebbero su due argomenti-chiave per le forze ispirate al modello Orbán: il richiamo alla «difesa delle nostre frontiere» contro i migranti e la rivendicazione di un margine di autodeterminazione sempre maggiore dalla Ue. Vale a dire la libertà di sorvolare sulle regole europee e, secondo i più pessimisti, di svuotare direttamente le istituzioni del loro potere di controllo sugli Stati membri. Nonostante l’emergenza migratoria raggiunta nel 2015 sia in declino in tutta Europa, dalla Germania alla Grecia all’Italia, gli allarmi sulla «invasione» hanno favorito una retorica cavalcata dal gruppo Visegrad con gli assist di Vienna e Roma. Gli obiettivi dichiarati sono frontiere chiuse all’esterno e aumenti dei controlli all’interno, con uno strappo alle regole di Schengen che assomiglia sempre più alla fine del sistema stesso di libera circolazione. Già oggi il tramonto dell’integrazione sembra meno irreversibile, ma un Ppe colonizzato dai sovranisti renderebbe l’ipotesi sempre meno astratta. Anche se le coste italiane hanno visto crollare quest’anno gli sbarchi di quasi l’80% rispetto al 2017 e la Germania deve gestire solo 20mila arrivi “secondari” (pari allo 0,025% della popolazione), l’argomento della «invasione» riesce a fare da leva propagandistica per tutte le forze di destra sparse nel Vecchio Continente.
La preoccupazione dei liberali: vogliono distruggere l’Europa dall’interno
Se i popolari soffrono, gli altri gruppi dell’Europarlamento non godono di salute migliore. I socialdemocratici temono la batosta in vista delle elezioni 2019, visto il calo generalizzato di consensi dei suoi partiti, dal tonfo del “nostro” Pd alla crisi del Spd tedesco, uscito con le ossa rotte dall’ultima elezione del Bundestag e oggi appeso a un ruolo minoritario nella coalizione con Cdu e Csu. I liberaldemocratici dell’Alde non sembrano avere i numeri per tenere testa ai rivali che vengono da destra, e guardano con ansia alla prospettiva di un cartello che coalizzi le liste di destra populista: «I nazionalisti hanno le stesse idee - dice Guy Verhofstadt, capogruppo Alde all’Eurocamera ed ex premier belga - Scaricare tutti i problemi sugli stranieri, alzare confini e distruggere l’Europa dall’interno».
La speranza di Verhofstadt è che gli interessi nazionalisti di ciascuna forza finiscano per collidere fra loro, facendo implodere la coalizione: «Se non vuoi lavorare assieme per risolvere la crisi dei migranti - dice - e la tua unica idea è che non vuoi migranti a casa, il risultato sarà che Orbán, Salvini, Kurz e Seehofer proveranno a spingere i migranti nei paesi degli altri, chiudendo le frontiere e ammazzando Schengen. A farne le spese saranno i cittadini normali». Resta il fatto che il Partito popolare europeo non ha ancora disconosciuto Orbán con la sua espulsione dal gruppo rappresentato all’Eurocamera. Fino a che il leader magiaro resta all’interno della coalizione, nulla frena la crescita della sua infuenza. «Ha bullizzato università, giornali e Ong, reso un criminale chi aiuta migranti e invaso il potere giudiziario - sbotta Verhofstadt - Che altro deve fare prima di essere espulso dal Ppe?».
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