Nelle ultime settimane tra le strade di Teheran, e delle maggiori città iraniane, serpeggia il malcontento. Rispetto a quattro
mesi fa, il riyal, la valuta locale, si è deprezzato del 50% nei confronti del dollaro. L'inflazione continua a salire, il
mercato nero prospera, la corruzione è quasi endemica. In alcune regioni si cominciano a vedere limitazioni nell'erogazione
dell'acqua ed interruzioni della corrente elettrica. Chi possiede i mezzi, sta facendo incetta di oro, un bene rifugio immune
alla svalutazione in tempi di crisi. Da maggio a giugno gli acquisti di monete e lingotti sono saliti ai massimi da oltre
quattro anni.
L'entrata in vigore delle sanzioni
Il tempo sembra essere tornato indietro di sette anni. A tempi bui, quando le sanzioni internazionali decretate contro l'Iran
(incluso l'embargo petrolifero europeo scattato il 1° luglio 2012) avevano fatto crollare le esportazioni petrolifere del
Paese facendo sprofondare l'economia in una recessione.
Martedì scatta il primo round di nuove sanzioni americane. Quelle che il presidente americano Donald Trump aveva annunciato
con l'uscita unilaterale degli Stati Uniti dall'Joint Comprehensive Plan of Action (Jcpoa), l'accordo sul nucleare iraniano
raggiunto dai paesi P5+1 (Usa, Russia, Cina, Francia, Regno Unito, Germania) nel luglio 2015 ed entrato in vigore nel gennaio
2016.
Quelle di oggi sono “sanzioni secondarie”. Colpiscono cioè i soggetti non americani che intrattengono relazioni economiche
e commerciali con l'Iran. O cessano i loro commerci o incorreranno nella scure americane, perdendo il mercato statunitense
e rischiando multe salate.
Le attività colpite dal primo round di sanzioni
Le sanzioni sono finalizzate a colpire l'acquisto di dollari americani da parte del governo di Teheran, il commercio in oro
o metalli preziosi, la vendita diretta o indiretta, la fornitura e il trasferimento verso o dall'Iran di grafite, metalli
grezzi o semilavorati quali alluminio, acciaio, carbone e software per l'integrazione dei processi industriali. Una delle
vittime illustri sarà il dinamico settore iraniano dell'automotive (la francese Peugeot si è ritirata dai suoi business che
aveva ripreso nel Paese una volta venute meno le sanzioni, nel marzo 2016). Anche l'acquisto e la vendita di riyal iraniani,
ed il mantenimento di conti denominati in riyal al di fuori del territorio iraniano, saranno vietati dalle misure americane.
Così come la sottoscrizione o la facilitazione dell'emissione di debito sovrano iraniano. Il secondo round, quello più critico
perché riguarda le esportazioni di greggio e le transazioni con la Banca centrale iraniana, entrerà in vigore il 4 novembre.
La strategia americana di massima pressione
L'effetto si farà sentire col tempo, ma non c'è dubbio che per gli iraniani, fino all'anno scorso euforici per la ripresa
dell'economia ripartita con forza nel periodo post-sanzioni, si prospettano tempi molto difficili. Ed è proprio questo ciò
a cui punta la nuova strategia “di massima pressione” delineata dal segretario di Stato americano Mike Pompeo lo scorso 21
maggio: stimolare il cambiamento nel paese attraverso il suo rinnovato isolamento economico. In altre parole fare insorgere
la popolazione contro il regime, rovesciandolo dall'interno.
Today, our Admin will begin re-imposing harsh sanctions against Iran. The US withdrew from the disastrous nuclear a… https://twitter.com/i/web/status/1026504128120283136
– Vice President Mike Pence(VP)
L'incontro tra Trump e Khatami
Se il buongiorno si vede dal mattino questa strategia non sembra sortire gli effetti desiderati. Davanti a un tentativo di
cambiamento orchestrato dall'esterno, la classe politica iraniana, da sempre caratterizzata per le sue rivalità interne, si
sta ricompattando intorno al presidente Hassan Rohani. Il quale si è a tal punto indebolito da esser costretto a riavvicinarsi
a quelle fazioni più radicali e oltranziste da cui si erano tenuto alla larga durante la campagna elettorale.
In un clima di grande tensione sono tornati a far sentire con forza la loro voce i Pasdaran. La potente organizzazione militare
iraniana è una potenza economica e politica del Paese, che si avvantaggia peraltro del sostegno della guida spirituale, l'Ayatollah
Ali Khamenei.
In questo contesto Khatami, un religioso riformista, non sembra saper come muoversi. Pochi giorno dopo una guerra di parole
in cui ha minacciato l'uso della forza, con un colpo a sorpresa il 30 luglio Donald Trump ha proposto a Khatami un incontro
faccia a faccia, e senza precondizioni. Per discutere di cosa non è dato sapere. Ma l'ala oltranzista iraniana non è disposta
a venire a patti con chi, ai loro occhi, è sempre stato il “Grande Satana”. Ed in questo clima ormai rovente minacciano di
chiudere lo Stretto di Hormuz, il canale tra Golfo Persico ed oceano indiano, da cui transita il 40% del greggio trasportato
via mare, se entrerà in vigore l'embargo petrolifero contro l'Iran.
Certo, queste sanzioni, anche quelle di novembre, vedranno molti paesi contrari. Come Russia e Cina. Eppure, per quanto sia
un partner commerciale indispensabile per Teheran, Pechino da sola non basterà a compensare l'effetto sanzioni, anche se dovesse
essere incentivata ad aumentare le sue importazioni di greggio con sconti importanti. Come non sarà sufficiente nemmeno se
alcuni Paesi asiatici, come India, Corea del Sud e Giappone, cercassero di portare avanti, pur limitandoli, i loro acquisti
di greggio iraniano.
L'Italia, il paese europeo più colpito dalle sanzioni Usa
Tra gli Stati che risentiranno di più dei nuovi round di sanzioni c'è l'Italia. Nel 2017 il nostro Paese è divenuto primo
partner commerciale dell'Iran tra i paesi dell'Unione europea, superando Francia e Germania. Sempre nel 2017, l'interscambio
tra Italia e Iran è cresciuto del 97% rispetto al 2016 arrivando a quota 5 miliardi di euro, mentre Francia e Germania seguivano
rispettivamente a 3,8 e 3,3 miliardi. Probabile che tra breve diverse imprese italiane dovranno rinunciare a molti commerci
e business ripresi di recente.
L'Unione Europea con le armi spuntate
E l'Europa? Per quanto abbia sempre reagito con dure posizioni, soprattutto nei confronti dell'abbandono americano dell'accordo
sul nucleare, la reazione di Bruxelles per ora si è limitata a parole di condanna. Le opzioni a sua disposizione per proteggere
le imprese europee dalla scure delle sanzioni americane non appaiono convincenti. La proposta allo studio, un pacchetto volto
a salvaguardare le imprese europee dall'impatto extraterritoriale delle sanzioni americane, coinvolgendo la Banca europea
degli investimenti, con la possibilità di finanziarie attività fuori dall'Unione europee, non suscita entusiasmo. Tra le misure
studiate dalla Commissione c'è anche la riforma di un regolamento del 1996 che impedirebbe alle imprese europee di adeguarsi
a sanzioni extraterritoriali di un Paese terzo permettendo loro di ottenere anche un risarcimento danni.
Le grandi società europee, quelle che hanno ripreso i grandi affari con l'Iran od erano in procinto di farlo, sono molto esposte negli Stati Uniti, dove hanno fette di mercato ben più corpose ed in diversi casi sono legate alle Borse americane. Solo per fare un esempio, i colossi francesi Total e Psa (il gruppo di Peugeot, Citröen e Opel) hanno fatto capire, sin dall'uscita di Trump dall'accordo l'8 maggio scorso, di ritirarsi dai progetti in Iran in mancanza di garanzie. Le proposte di circuiti finanziari alternativi svincolati dal dollaro, attraverso organismi come la Banca europea degli investimenti (Bei), non sembrano averli convinti.
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