A Bruxelles non ha ancora aperto nulla e a quanto pare il suo punto d’appoggio è solo uno dei fondatori del Parti populaire che, con il 6% dei voti e un eletto, si è dato l’obiettivo di «raddrizzare la Vallonia e Bruxelles, restituendole fierezza e dignità». Ma è bastato l’annuncio, sapientemente veicolato, di voler aprire un ufficio con una decina di persone nella capitale belga in vista delle elezioni europee del 2019, e Steve Bannon ha acceso il dibattito.
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A conferma che quando gli alleati lo descrivono come una «macchina da guerra» mediatica non sbagliano. I detrattori sono meno lusinghieri, ma ne parlano comunque. L’ex stratega politico di Donald Trump, ha capacità e mezzi per restare sulla scena. Prima negli Usa e ora nella sua nuova (facile?) scommessa politica: l’Unione europea. Una fra le ultime adesioni ufficiali è quella del vicepremier Matteo Salvini, convinto da Bannon dopo un incontro a Roma, a pochi giorni di distanza dal vis-a-vis con il primo ministro ungherese Viktor Orban. Il New York Times si è spinto a definirla «una grande vittoria» dell’ex stratega di Trump, definendo Salvini «la figura più potente nel nuovo governo italiano».
Gli obiettivi della fondazione
La fondazione di Bannon, chiamata The Movement, nel ha l’obiettivo di proporsi come guida di tutte le forze Ue nazionaliste ed euroscettiche in vista dell’elezione dell’Europarlamento. Niente attività di lobby tradizionale, ma un soggetto che «unisca e potenzi» i partiti della destra populista, radunati da un’agenda comune e sostenuti con consulenze che vanno dalla raccolta dati alla comunicazione sui social. Nemici comuni: l’Unione europea «antidemocratica», il multiculturalismo e il finanziere-filantropo George Soros, uno dei bersagli preferiti dei sovranisti per la sua attività di beneficenza «che favorisce l’immigrazione» elargendo denaro alle Ong. La fondazione dovrebbe assoldare 10-15 persone e si è insediata a Bruxelles per tenere il fiato sul collo delle istituzioni che Bannon cerca di scardinare dall’interno con una sorta di cartello fra i partiti nazionalisti del Vecchio Continente. Dalla Lega di Matteo Salvini in Italia («Il cuore pulsante della politica in Europa») al Rassemblement national di Marine Le Pen in Francia, senza lasciare per strada Fidesz di Viktor Orban, la destra radicale di Alternative für Deutschland in Germania, i polacchi di Diritto e giustizia e qualche sigla minore. Proprio come il Parti populaire, partito belga di destra con un seggio al parlamento vallone (e zero in quello europeo), che vuole giocare un ruolo di peso nell’iniziativa di Bannon.
Uno dei fondatori, l’avvocato Mischaël Modrikamen, dice di aver avuto l’intuizione di un blocco unico dei movimenti populisti all’epoca della vittoria di Trump nel 2016. Ne ha parlato con Bannon, sostiene, l’idea gli è piaciuta e si dovrebbe tradurre in realtà a metà settembre. In cima all’agenda, spiega Modrikamen (di cui non ci sono in giro foto con Bannon), ci sono gli stessi obiettivi che fanno da collante ideologico fra i vari partiti: «Chiusura delle frontiere, lotta contro l’islamizzazione, recupero dei valori cristiani dell’Occidente. Tutti temi su cui possiamo tranquillamente trovare un accordo anche fra forze di estrazione diversa». La fondazione si reggerà su donazioni private dagli Stati Uniti e dall’Europa: magari non si arriverà al miliardo di dollari all’anno dell’Open society di Soros, ma «raccoglieremo comunque finanziamenti perché siamo in linea con quello che pensa la gente. È la sfida dei partiti populisti contro il partito del globalismo» spiega Modrikamen che si fa anche ambizioso «garante» contro ingerenze russe. Per ora non si parla della creazione di un gruppo parlamentare a sé ma l’ipotesi non si può escludere.
Quale possa essere la potenza d’urto di The Movement, comunque, è tutto da stabilire. Gli stessi ipotetici protagonisti del suo progetto, i partiti sovranisti europei, hanno reagito in modo diverso all’annuncio dell’ex spin doctor (o presunto tale) di Trump. Membri del Rassemblement national, erede del Front National, hanno già dichiarato ai media internazionali che «non accettano entità sovranazionali» sulla loro testa. Dal governo austriaco di Sebastian Kurz, rappresentante dell’euroscettico Partito della libertà, fanno sapere che «nessuno sembra essere stato contattato da Bannon».
Reazioni prudenti
L’effetto annuncio comunque c’è stato eccome. A Bruxelles se ne parla, soprattutto in privato, anche se la sostanza è tutta
da verificare. Questo spiega la presa di distanza di alcuni dei partiti corteggiati da Bannon e il silenzio di quelli tradizionali
ed europeisti. Non perché non prendano sul serio l’iniziativa. Prudentemente, non si pronunciano. Come il presidente del Parlamento
europeo, Antonio Tajani, esponente di primo piano del Partito popolare (Ppe), e il primo vicepresidente della Commissione,
il socialista olandese Frans Timmermans. Rinvia ogni commento a dopo le vacanze anche il presidente del Ppe, il tedesco Manfred
Weber, il quale potrebbe essere il più preoccupato dal momento che un eventuale gruppo parlamentare sovranista rischia di
ridimensionare soprattutto il Ppe che già accoglie Orban e ha lanciato più di un messaggio alla Lega. Nessuna risposta anche
da Guy Verhofstadt, ex premier belga e presidente dei Liberal-democratici: un anno e mezzo fa aveva tentato di arruolare gli
europarlamentari del M5S sottraendoli agli euroscettici, ma aveva dovuto rinunciare al progetto per la rivolta dei suoi. E
a proposito dei 5stelle, Bannon non ne parla: il movimento viene considerato populista, euroscettico, ma non sovranista. Parla
invece Sven Giegold, eurodeputato tedesco dei Verdi ed è tranchant: «Tutti i partiti che si collegano a Bannon si fanno del
male. La reputazione di Trump in Europa è pessima e Bannon è e rimane legato alle sue politiche dannose. Senza dubbio il populismo
di destra è pericoloso, ma dubito che Bannon lo renderà più forte».
«In cerca di uno zar»
Cas Mudde, esperto di populismi in cattedra alla University of Georgia, ha stroncato sul Guardian le ambizioni europee di
Bannon, definendolo «l’aspirante Rasputin in cerca di uno zar». Raggiunto dal Sole 24 Ore, Mudde si rifiuta di parlare ancora
di lui «per non fargli pubblicità gratuita – dice – finché non ho la prova che conti qualcosa». La tesi di Mudde è che Bannon
sia in cerca di un lavoro, dopo essere stato estromesso sia dalla Casa Bianca sia da Breitbart news, il sito di ultradestra
fondato nel 2007.
Sospesi tra preoccupazione e scetticismo, per i partiti tradizionali, e soprattutto per i cittadini che ancora vedono nell’Unione europea un grande progetto di pace tra le nazioni attraverso un processo di integrazione economia e politica, la sfida di Bannon suona dunque come una chiamata alle armi, per non riportare le lancette della storia indietro di 70 anni.
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