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Fine del bailout: ecco che cosa cambia per la Grecia. E per noi

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il «nuovo» capitolo

Fine del bailout: ecco che cosa cambia per la Grecia. E per noi

ATENE – Da oggi la Grecia avvia un “nuovo capitolo” della sua storia. Parola di Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione europea, mentre il Governo greco gli ha fatto eco parlando di “nuova fase”, come farà oggi il premier Alexis Tsipras in un discorso alla nazione.

1. Il salvataggio
Formalmente, Atene esce da più di otto anni di “sottomissione” a tre successivi “memoranda” sottoscritti con i suoi creditori (i primi due con la troika, il terzo solo con i creditori europei ovvero senza il FMI). Il salvataggio è stato infatti condizionato a un duro programma di austerità e riforme. Se nella primavera del 2010 la Grecia aveva perso l'accesso ai mercati dei capitali, l'uscita dal più grande salvataggio della storia equivale al riconoscimento di una patente di idoneità a tornare a finanziarsi da sola sul libero mercato, a partire da oggi.

2. La sovranità
Psicologicamente, si tratta di un evento molto importante per una nazione orgogliosa che si è sentita profondamente umilitata da termini e modalità di applicazione dei “memoranda”: la Grecia può tornare a “camminare sulle proprie gambe”. Il governo parla di “uscita pulita” dal terzo memorandum, con riacquisto di sovranità sulle politiche economiche.

3. I limiti
Sostanzialmente, la sovranita' riacquisita sulle politiche finanziarie ed economiche trova un limite negli impegni sottoscritti con i creditori, che riducono gli spazi di manovra autonoma. In cambio dell'ultimo sollievo sul debito concesso a fine giugno (con proroghe e moratorie), il governo ha prelegiferato su nuovi tagli e oneri che entreranno in vigore l'anno prossimo e soprattutto ha accettato di conseguire un avanzo del bilancio primario statale del 3,5% per 5 anni e del 2,2% a media costante fino al 2060. Inoltre si e' impegnato a non deviare da strategie di riforme, privatizzazioni e miglioramento della pubblica amministrazione. Se lo facesse, i creditori si riservano il diritto di sospendere alcune misure di sollievo del debito e di cancellare la disponibilita' a eventuali nuove misure di sostegno nel 2032. Questo, secondo l'opposizione, equivale piu' o meno a un quarto memorandum: Atene non esce da una cornice di austerita', dentro la quale puo' solo cercare di variare qualche capitolo di spesa compensandone gli importi. Il premier Tsipras non la pensa cosi': vede come una conquista storica l'uscita dal bailout e dovrebbe annunciare agli inizi di settembre una sua manovra autonoma per la crescita e per un riequilibrio della pressione fiscale.

4. Il mercato
Temporalmente, non è chiaro quando la Grecia tornerà effettivamente a emettere nuovi bond sul mercato dei capitali (un paio di test sperimentali sono stati gia' fatti sotto memorandum). Il governo stava pensando a effettuare un paio di test entro fine anno, ma la situazione ora è complicata dal contesto di accresciuta volatilità e instabilità sui mercati finanziari, provocato, secondo Alpha Bank “dalla crisi valutaria turca e dagli interrogative sulla prudenza fiscale del nuovo governo italiano”. Se le turbolenze aumenteranno, il ministero greco delle Finanze rinvierà tutto all'anno prossimo. È stata creata una riserva finanziaria statale da oltre 24 miliardi di euro per consentire al Paese di non avere necessità di chiedere soldi al mercato per almeno 22 mesi. Comunque lo stesso Fondo Monetario internazionale nutre dubbi sulla sostenibilità a lungo termine dell'indebitamento del Paese. E gli stessi creditori europei hanno ipotizzato nuovi interventi di sollievo sul debito (sempre che Atene rispetti quanto “concordato”) nell'ambito di una revisione della questione che avverrà nel 2032.

5. L’Italia
E per noi cosa cambia? L'Italia e' stata coinvolta nella crisi greca più di quanto appaia. Non solo, cioè, come finanziatrice, in proporzione con gli altri Paesi dell'Eurozona, dei piani di salvataggio di Atene. Secondo molte indicazioni, la durezza verso la Grecia della Germania e dei suoi alleati nord ed est europei è stata in parte motivata dal concetto di “parlare a nuora perché suocera intenda”: si trattava di inviare un messaggio a Roma e ad altri Paesi sulle “pene” che li attendono nel caso che il debito diventi insostenibile e richieda l'intervento della Troika. Inoltre la crisi greca ha messo sotto tensione la tenuta dell'euro, spingendo la Bce di Mario Draghi a intervenire con vari programmi contestati dalla Bundesbank per fare “whateves it takes” nel salvare la moneta unica, sostenendo in pratica le economie più deboli dell'Eurozona. Ora che la Grecia uscirà dai riflettori internazionali, almeno per un certo periodo, il rischio concreto è che il faro degli investitori si concentri sul nostro Paese. In particolare, non è da escludere la prospettiva inquietante che i tassi richiesti dagli investitori per acquistare bond italiani possano finire per diventare superiori ai tassi di mercato dei bond greci: questo diventerebbe una sorta di certificazione di un passaggio di testimone dalla Grecia all'Italia come il “malato d'Europa”. Dalla scorsa primavera, lo spread tra i rendimenti dei titoli italiani e greci si è già ridotto in modo preoccupante. Molto dipenderà dalle prossime decisioni delle agenzie di rating, in relazione alle mosse del governo italiano sulla legge di bilancio.

6. Le altre lezioni
La “tragedia greca” dell'ultimo decennio, infine, offre altre lezioni: un governo populista può cambiare linea rapidamente se messo all'angolo di una scelta potenzialmente irreversibile per la nazione, mentre è balzato in tutta evidenza che ci sono chiari limiti alla solidarietà europea. Di fronte al salto nel buio di una uscita dall'euro, Tsipras si è ritratto, anche se aveva lui stesso convocato e vinto tre anni fa un referendum popolare antiausterità. E oggi in Grecia non si parla di uscire dall'euro e tantomeno dall'Europa, nella diffusa sensazione che sarebbe peggio, anche molto peggio. Per Gabriel Stern di Oxford Economics, si tratta di una lezione incoraggiante: anche i governi più populisti incontrano freni sia istituzionali sia in una opinione pubblica riluttante a concedere carta bianca a una temporanea maggioranza di governo per correre rischi epocali. Per questo dà a non più del 5% la possibilità di un “Arrivedexit” con annesso default catastrofico per banche e pensioni italiane. L'euro significherà pure performance economiche limitate dall'impossibilità di comprare crescita a piacere con più debito, più inflazione e svalutazioni. L'architettura istituzionale dell'Eurozona sarà pure bisognosa di riforme. Ma dalla lezione greca sembra emergere che, al dunque, soluzioni radicali e pericolose faticano a imporsi a un “consensus” nazionale, mentre non è battendo i pugni sul tavolo e minacciando che si può ottenere qualcosa in Europa.

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