New York - Il “fixer” di Donald Trump questa volta prova a “incastrare” il presidente. Michael Cohen, ex avvocato personale di Trump e in realta' faccendiere di professione dedito a risolvere i suoi problemi, si e' dichiarato colpevole ieri sera di violazioni delle leggi sui finanziamenti elettorali. Ma soprattutto, in una straordinaria dichiarazione in un tribunale federale di Manhattan che ha scosso Washington, ha affermato esplicitamente e per la prima volta d'aver agito “in coordinamento e su istruzione del candidato”, cioe' di Trump allora ancora aspirante alla Casa Bianca, quando ha orchestrato pagamenti a due donne per comprare il loro silenzio sulle relazioni extraconiugali delle quali lo accusavano. Cohen ha incalzato che versamenti complessivi di quasi 300mila dollari finiti all'ex modella di Playboy Karen McDougal e alla pornostar Stormy Daniels sono stati effettuati «con l’obiettivo principale di influenzare le elezioni» del novembre 2016 poi vinte dal “candidato”.
Le ammissioni di Cohen, che si e' dichiarato colpevole di otto reati compresi evasione fiscale e truffa, hanno rappresentato la drammatica conclusione di una inchiesta condotta dalla procura federale di Manhattan e scattata per fare luce sulle attivita' sospette dell'avvocato. Attivita' nelle quali si era imbattuto il procuratore speciale Robert Mueller che sta esaminando un altro scandalo che assedia sempre piu' da vicino il Presidente, il Russiagate, cioe' le interferenze di Mosca nella campagna elettorale e la possibile collusione da parte della campagna di Trump.
Si tratta pero' di una conclusione, quella del caso Cohen, solo provvisoria. Proprio nelle stesse ore dell'annuncio su Cohen, Mueller ha inferto un secondo, duro colpo alla Casa Bianca: ha ottenuto da una giuria della Virginia la condanna per otto reati di truffa e evasione fiscale dell'ex manager della campagna del candidato repubblicano, Paul Manafort. Mueller aveva incriminato Manafort con 18 capi d'accusa legati a milioni di dollari nascosti in conti all'estero e a informazioni false presentate alle banche per strappare prestiti per 20 milioni e finanziare uno stile di vita di super-lusso. I giurati non sono riusciti a pronunciarsi su dieci dei capi d'accusa.
La condanna di Manafort rafforza la credibilita' delle intere indagini sul Russiagate: Manafort deve ancora essere processato il mese prossimo per riciclaggio, falsa testimonianza all'Fbi e attivita' illegale di lobbying a fovore di interessi esteri. Ma e' il j'accuse scaturito dalla parole di Cohen che ha destato scalpore e sembra allungare le ombre piu' dense. L'avvocato di Trump, l'ex sindaco di New York Rudolph Giuliani, ha risposto dichiarando che nel caso portato da governo contro Cohen “non ci sono accuse di alcuna irregolarita' commessa dal Presidente” e che le azioni di Cohen “riflettono una lunga abitudine a menzogne e disonesta'” riconosciuta dalla stessa procura.
Le ripercussioni per Trump, nonostante le rassicurazioni di Giuliani, secondo gli esperti potrebbero invece essere molteplici. Michael Avenatti, il legale di Stormy Daniels alla quale Trump offri' 130.000 dollari ad un mese soltanto dall'apertura delle urne del 2016, potrebbe cercare di obbligare il Presidente a testimoniare nell'ambito di una denuncia fatta scattare dalla sua cliente per scoprire quando e quanto Trump sapesse. Cohen potrebbe inoltre collaborare con Mueller sul Russiagate e stringere cosi' sempre piu' il cerchio dei diversi scandali: l'ammissione di colpa non prevede la cooperazione ma neppure la esclude. Mueller potrebbe offrire in cambio una riduzione della pena, che per i reati in questione prevede altrimenti fino a 65 anni di carcere. Di sicuro quello di Cohen e' gia' ad oggi il piu' eclatante “tradimento” sofferto da Trump da parte di un fidato e stretto collaboratore. Di colui che un tempo aveva affermato d'essere disposto a “farsi sparare” per il Presidente e che adesso gli ha invece scagliato contro una “bomba” politica.
Le opzioni legali per le procure, davanti al fatto che Cohen ha implicato direttamente Trump in gravi reati, sono molteplici e incerte al cospetto dalla Casa Bianca: potrebbero non fare nulla contro il Presidente, almeno mentre e' in carica; potrebbero chiedere ugualmente una incriminazione senza tuttavia procedere fino al dopo Casa Bianca; potrebbero cercare di completare la loro indagine e passare le carte al Congresso, per eventuali decisioni su un impeachment, che e' un procedimento eminentemente politico. La maggior parte degli studiosi e le regole adottate dal Dipartimento della Giustizia, cui sono soggetti inprocuratori federali sia del caso Cohen che dl Russogate, affermano nei fatti che stabdo alle interoretazioni della Costituzione non e' possibile perseguire penalmente un Presidente in carica. Simili reati a quelli del caso Cohen per un altro candidato potrebbero comportare decine di anni di carcere e multe milionarie.
© Riproduzione riservata