Una «polizia di frontiera Ue» con 10mila agenti schierati, l’endorsement alle misure contro l’Ungheria, qualche steccata alla Gran Bretagna (e all’Europa unita). Sono gli annunci arrivati da Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione europea, nel suo discorso sullo stato della Ue: un intervento che fa da bilancio sulle condizioni attuali della Ue e le prospettive in vista del suo ultimo anno alla guida del braccio esecutivo di Bruxelles.
L’Europarlamento, riunito in Plenaria a Strasburgo, si prepara a una giornata a dir poco intensa. Ieri è stato il turno del presidente magiaro Orban e del suo discorso di fronte ai membri dell’Eurocamera, virato subito su toni che ricordano più di un’offensiva di un’apertura alle istituzioni Ue. Oggi sono sul tavolo almeno tre appuntamenti decisivi per gli ultimi scampoli della legislatura europea, in scadenza a maggio 2019: oltre a Juncker, arriveranno il giudizio dell’Eurocamera sull’attivazione dell’articolo 7 contro Budapest e il voto (forse) definitivo sulla riforma del diritto d’autore, bocciata a luglio dai parlamentari e tornati in aula con un pacchetto di oltre 250 emendamenti.
Il discorso di Juncker: migranti, elezioni e dati degli utenti
Il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ha iniziato a parlare alle 9, confermando le attese sui contenuti
e gli obiettivi del suo programma. Il filo conduttore, come anticipato anche dal Sole 24 Ore, sembra essere quello della «Europa
che protegge»: un’allusione al controllo dei flussi migratori e all’aumento delle misure di sicurezza, anche in risposta all’ascesa
di forze populiste che hanno imbastito il proprio consenso sulla «debolezza» del vecchio establishment comunitario. Nel concreto,
Juncker ha già annunciato il progetto di una polizia di frontiera europea con 10mila agenti schierati alla frontiera, con
l’intenzione di rafforzare Frontex (un’agenzia che raccorda l’attività delle guardie costiere Ue) e trasferire competenze dai governi nazionali a Bruxelles.
In ballo, in vista del consiglio europeo di Salisburgo del 19-20 settembre, c’è una proposta di direttiva sui rimpatri che
prevede un periodo di reclusione di tre mesi per gli immigrati irregolari. Juncker ha comunque ricordato i risultati dell’Europa in fase di soccorso e prevenzione dei flussi: «I nostri sforzi per
gestirla hanno portato a dei frutti, gli arrivi sono stati drasticamente ridotti del 97% nel Mediterraneo orientale e dell'80%
in quello centrale e le operazioni Ue di salvataggio hanno permesso di salvare oltre 690mila persone in mare dal 2015».
Juncker ha parlato anche del divorzio Ue-Regno Unito (invitando Londra a «capire che, se lasci la Ue, non sei più parte di
un mercato unico»), si è schierato a favore dell’attivazione dell’articolo 7 contro l’Ungheria (vedi sotto) e ha lanciato
la proposta di istituire una votazione a maggioranza qualificata in alcuni ambiti della politica estera. Fra le altre novità
l’annuncio di una «nuova
alleanza tra Europa e Africa per investimenti sostenibili e occupazione» e di un sistema di controllo sull’impiego di dati
degli utenti in ambito politico, con l’intenzione di evitare «un nuovo caso Cambridge analytica». In particolare si prevede
una multa del 5% del bilancio per i partiti che violano le regole sulla protezione delle informazioni personali, avvalendosi
di tattiche di micro-targeting troppo invasive (o manipolatorie). Un altro capitolo, anticipato dai media internazionali,
è quello sulla valuta di riferimento. Juncker spingerà per un «ruolo globale dell’euro», come «faccia e strumenti di una
nuova Europa sovrana» in sostituzione del dollaro.
I voti sul copyright e l’Ungheria
Dalle 12:30 in poi, stando all’agenda della plenaria, arrivano i voti su due dossier delicatissimi: il copyright e l’Ungheria.
Nel primo caso, gli Europarlamentari tornano a esprimersi sulla direttiva sul «digital single market», nota (e combattuta) più
che altro per le sue misure sul diritto d’autore. L’eurocamera dovrà votare i 252 emendamenti accorpati al testo dopo la bocciatura
di luglio e il via libera al mandato negoziale, cioè la procedura che fa scattare le negoziazioni Consiglio-Parlamento-Commissione
e l’approvazione definitiva del testo. Gli articoli più controversi restano sempre l’11 e il 13, dove si stabiliscono rispettivamente
l’obbligo di remunerazione per la diffusione di contenuti online (piattaforme come Google e Facebook devono pagare gli editori
quando diffondono materiale prodotto da terzi, articolo 11) e l’obbligo di rimuovere autonomamente i contenuti protetti da
copyright e veicolati sul proprio sito (articolo 13). L’esito è tutto da definire. L’europarlamento, già spaccato a luglio,
si presenta ancora più diviso tra chi sostiene una riforma «vitale» per l’industria culturale e chi teme una manovra letale
per la libertà del web.
Quanto all’Ungheria, gli eurodeputati sono chiamati al voto sull’attivazione dell’articolo 7 del trattato sulla Ue: una procedura di sanzioni contro i paesi accusati di violare i principi fondativi del progetto europeo. Sul bancone degli imputati è finita Budapest, “grazie” alle misure attuate dal governo Orban su questioni come migranti, libertà personali e indipendenza della magistratura. In caso di voto favorevole dell’Eurocamera, il Consiglio europeo potrebbe decidere di avviare indagini sull’Ungheria e decidere poi, all’unanimità, di infliggere ammende che possono sfociare sulla sospensione del diritto di voto di Budapest in sede Ue. Anche qui, però, il parlamento è frammentato. Solo fra gli italiani si segnala una frizione interna alla maggioranza fra Lega (in difesa di Orban) e Cinque stelle (favorevoli alle sanzioni), con la stampella esterna di Forza Italia (sempre in difesa di Orban, nel tentativo di ricompattarsi con il partito di Salvini).
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