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I rischi dell’Ue al tempo della nuova peste

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industria agroalimentare

I rischi dell’Ue al tempo della nuova peste

(Marka)
(Marka)

La politica comunitaria sull’agricoltura è stata uno dei capisaldi dell’Unione europea, spesso anche motivo di divergenze, proteste e irritazioni fra gli Stati membri. Basta pensare alle quote latte o alle politiche sulla pesca.

Essere nello stesso spazio commerciale è stata una grande conquista della Ue e ha fortificato la posizione dell’Europa come interlocutore commerciale. Questo obiettivo è stato raggiunto anche grazie alle politiche di armonizzazione degli strumenti di lotta contro le malattie infettive degli animali e delle piante. A causa della ricchezza e delle diversità delle produzioni agroalimentari degli Stati membri - oggi più che mai - è importante essere uniti e credibili nei confronti dei Paesi terzi. È inutile nascondere che il processo di armonizzazione della legislazione non è stato semplice. Si sono consumate negoziazioni estenuanti per rendere compatibili le realtà produttive con quelle sanitarie e di salubrità degli alimenti e, nel contempo, garantire la tutela del consumatore, gli scambi e le esportazioni. Ma l’obiettivo è stato largamente raggiunto.

A minacciare il cuore dell’Europa, - proprio in Belgio - è il virus della Peste suina africana, che ha fatto la sua comparsa in cinque cinghiali nel Sud-Est del Paese, non lontano dal confine con Francia e Lussemburgo. Questo virus, per il quale non esiste un vaccino, rappresenta una gravissima minaccia per il comparto dell’agroalimentare legato all’allevamento del suino ma anche per alcuni dei nostri valori identitari di Unione.

La Peste suina africana è nel contempo una malattia che ci unisce e che ci dividerà. I cinghiali e le malattie non rispettano i confini e non hanno nazionalità. Ci unisce perché uno dei serbatoi dell’infezione sono i cinghiali che circolano liberamente, oltre che nelle periferie romane e sui Colli Euganei, anche nelle foreste dell’Europa centrale. Ci unisce attraverso gli scambi commerciali miliardari nella filiera del suino. Ma ci unisce anche perché la storia insegna che le malattie degli animali e delle piante costano. I costi astronomici legati alla gestione di un’epidemia di Peste suina africana nella Ue non sono soltanto legati ai costi diretti (per morte e abbattimento dei suini), ma soprattutto ai costi indiretti, blocco delle esportazioni, blocco delle produzioni, vuoto sanitario, indennizzi. Si stima che il primo cinghiale infetto che dovesse trovarsi in Germania costerà al contribuente europeo parecchie centinaia di milioni di euro, qualcuno dice fino a un miliardo, per via del blocco delle esportazioni extra-Ue.

Ai problemi di natura commerciale, in queste circostanze si aggiungono una serie di altre problematiche che non devono essere sottovalutate perché non possono che esplodere con tutto il loro potenziale deflagrante: la questione degli abbattimenti di animali clinicamente sani ma potenzialmente infetti, lo smaltimento delle carcasse, e la gestione delle deiezioni e della sanificazione degli allevamenti.

Tornando all’aspetto più complesso ovvero alla difficile convivenza degli stati membri, quello che dobbiamo assolutamente evitare è che questa o altre malattie degli animali da reddito o delle piante diventino un pretesto per creare ulteriori tensioni interne anche su questo fronte.

La libera circolazione dei prodotti agroalimentari è frutto di decenni di negoziazioni ed è una grande conquista. La forza dell’Unione è quella di adottare strategie comuni per ridurre al minimo i rischi (economici, sociali, politici) correlati a eventi come le malattie degli animali o delle piante, e deve essere in grado di esprimere solidarietà e sostegno agli altri Stati membri vittime di pestilenze che colpiscono l’agricoltura. Da una guerra commerciale fra i produttori di bacon danese, o würstel tedeschi, o di salami italiani ci perdiamo tutti.

Anche i vegetariani, perché il danno economico riguarderebbe anche loro.

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