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Elezioni in Brasile, la prima sfida del futuro presidente è frenare la spesa

Ha un’economia indebolita ma solida nei rapporti con l’estero: potrà proseguire la sua ripresa? Il Brasile affronta elezioni difficili in questa domenica 7 ottobre: il candidato della destra populista e nostalgico delle dittature Jair Bolsonaro - è accreditato nei sondaggi al 35% - affronta, come maggior contendente,il socialista Fernando Haddad, erede necessario di Luiz Inácio Lula da Silva, attualmente in carcere, che intende integrare i più poveri nell’economia (e come ministro dell’Istruzione ha cercato di migliorare scuole e università e aprirle ai meno abbienti), accreditato al 22%. Per il ballottaggio i sondaggi danno al momento un testa a testa.

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Chiunque vinca, erediterà un Paese diviso, spaventato e ancora segnato dalla crisi. Avrà così un forte incentivo a usare le spese pubbliche non in chiave strettamente economica, ma per funzioni sociali, forse redistributive (e, ovviamente, elettorali). Può permetterselo, il Brasile?

Il nodo da sciogliere è soprattutto qui. Dopo la difficile recessione del 2015-16 - -8,2% la contrazione complessiva del pil, seguita da una miniripresa dell’1% l’anno scorso - il debito pubblico è salito dal 62,3% del pil del 2014 all’84% del 2017 e potrebbe portarsi al 95% nel ’22, malgrado una norma costituzionale ponga un tetto alle spese statali. Ora l’attività economica potrebbe prendere slancio: il Fondo monetario internazionale prevede che cresca dell’1,8% quest’anno e del 2,5% l’anno prossimo, per poi stabilizzarsi sul 2,2%; con una disoccupazione che potrebbe passare dal 12,8% di dicembre fin sotto il 10% nel 2021. Era però al 7% prima della crisi.

Le cifre assolute, in un Paese popoloso, sono enormi: i senza lavoro sono 13 milioni, ai quali va aggiunto il numero degli scoraggiati, che non cercano più un posto, piuttosto elevato. Il peso della disoccupazione si scarica inoltre in modo sproporzionato su giovani, donne, afrobrasiliani e persone con bassa istruzione nel Nord e nel Nord-Est. La riforma del lavoro del 2017 ha ridotto le protezioni sociali senza sufficienti risultati in contropartita, anche per le incertezze nella sua applicazione. Il lavoro nero prospera, riducendo le entrate fiscali.

In questa situazione, il nuovo governo potrebbe intervenire in modo maldestro, o anche controproducente. Aumentare le spese pubbliche può diventare una tentazione forte, anche perché una crescente fetta delle risorse - bloccate dal tetto sulle spese - è destinata alle pensioni, molto generose verso i dipendenti pubblici e i lavoratori più ricchi (la riforma per aumentarne i contributi è stata bloccata). «Il nuovo governo - ha spiegato l’Fmi in agosto - potrebbe non avere la volontà politica per proseguire il consolidamento fiscale, e soprattutto le riforme delle pensioni. In queste circostanze, gli investitori potrebbero perdere fiducia nella sostenibilità del debito, e quindi far scattare un deprezzamento del cambio, un aumento dei rendimenti, un irrigidimento delle condizioni finanziarie e, forse, una recessione».

Non a caso gli investitori esteri hanno alleggerito le loro posizioni. Non sarà, va detto subito, un’altra Argentina: il Paese ha ampie riserve valutarie e debiti esteri «moderati», pari al 35% del pil. I rischi di uscire fuori strada sono però piuttosto alti.

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