Forse la maggiore sorpresa sono i due Paesi europei inclusi nella lista: Italia e Grecia. Degli altri sei che, in virtù di
un’esenzione decisa dalla Casa Bianca, potranno continuare ad acquistare greggio iraniano per almeno altri sei mesi, si sapeva già da tempo. E si poteva comunque prevederlo. Sono Cina, India, Corea del Sud, Turchia (i primi quattro acquirenti
di greggio iraniano) , Giappone e Taiwan.
Per quanto volesse una tolleranza zero, il presidente americano Donald Trump ha dovuto rivedere il meccanismo dell'embargo petrolifero, approvando delle esenzioni. Un ripensamento probabilmente dovuto alla preoccupazione di non far salire troppo il prezzo del greggio.
Il nuovo round di sanzioni
La lista delle esenzioni è stata resa nota oggi dal Segretario di Stato Mike Pompeo, forse il politico più ostile all'Iran
all'interno dell'Amministrazione Trump, il giorno in cui è scattato il nuovo round di sanzioni americane. Quello che, secondo
Trump ed il suo staff, sarà il più duro di sempre. Saranno colpite oltre 50 banche iraniane, più di 200 personalità e navi
da trasporto del settore marittimo, oltre alla compagnia di bandiera Iran Air. E naturalmente le esportazioni di greggio.
Il nuovo round di sanzioni è la conseguenza diretta delle controversa decisione di Donald Trump, fortemente criticata dall'Unione
Europea, di uscire dall'accordo sul nucleare iraniano , firmato nel 2015 dall'Iran e dal gruppo 5+1 (Usa, Russia, Cina, Francia
Regno Unito e Germania).
La spiegazione che Pompeo aveva fornito per giustificare le esenzioni non convince del tutto: «Esenteremo alcuni Paesi ma
solo perché abbiamo registrato uno sforzo, stanno riducendo le importazioni di petrolio dall'Iran». In verità, sono stati
esentati i Paesi che, complessivamente, comprano oltre l'80% del greggio iraniano venduto nel mondo. Le sanzioni più forti
di tutti i tempi, quelle della tolleranza zero, partono dunque in tono volutamente morbido.
Italia primo importatore europeo di greggio iraniano
Complice anche lo storico legame che unisce i due Paesi, l'Italia è da tempo il maggiore acquirente europeo di greggio iraniano.
La qualità iraniana più utilizzata dalle nostre raffinerie è quella pesante, adatta per i bitumi.
Secondo gli ultimi dati dell'Unione petrolifera italiana, nei primi otto mesi del 2018 l'Italia ha importato dall’Iran 5,2milioni
di tonnellate di greggio. Per quanto questo volume mostri un calo del 10% rispetto ai primo otto mesi del 2017, l'Iran resta
il nostro terzo esportatore con una quota del 12,5% sull'import complessivo di petrolio, dietro all'Iraq e all'Azerbaijan
(nostro primo fornitore).
Diversificazione già avviata
In verità l'esenzione temporanea dall'embargo petrolifero non sposta più di tanto gli equilibri. Le maggiori raffinerie italiane,
che peraltro hanno raggiunto un livello tecnologico che consente loro di processare diversi tipi di greggio, si erano da tempo
preparate, diversificando gli approvvigionamenti.
Il nostro sistema è peraltro molto flessibile. Come sottolinea al Sole 24 Ore Claudio Spinaci, presidente dell'Unione petrolifera,
«il nostro Paese ha una grande flessibilità. Importiamo greggio da circa 30 Paesi. Peraltro avevamo iniziato a diversificare
maggiormente gli approvvigionamenti da tempo in modo da prepararci all'embargo sull'export iraniano».
«L’esenzione americana - continua il presidente dell’Unione petrolifera - ci permette comunque di gestire in modo migliore, e con maggiore flessibilità, il passaggio che ci porterà a fare a meno del greggio iraniano. Con un beneficio sul fronte dei costi».
Le concessioni a Cina e Turchia
La Cina, il primo acquirente di Teheran, e la Turchia, avevano precisato sin dall'inizio di non condividere queste sanzioni
e di non volervi aderire . Pechino lo ha ribadito oggi. Eppure entrambi i Paesi, certo non alleati degli Stati Uniti, sono
stati inclusi nella lista di chi godrà delle esenzioni. Pechino ha sì ridotto significativamente l’import di greggio iraniano,
ma non vuole rinunciarvi del tutto.
Anche la Turchia, il cui Governo non intrattiene relazioni idilliache con Washington, godrà di un'esenzione. Ma il Paese che
possiede il secondo esercito della Nato, rappresenta un caso a sé. Il presidente Recep Tayyip Erdogan aveva precisato da tempo
di non voler aderire alle sanzioni contro l'Iran. Pretendere che Ankara si associasse all'embargo era un'illusione. L'Iran
confina con la Turchia (che peraltro importa il 90% del greggio che consuma) , e fornisce da tempo quasi il 50% del fabbisogno
petrolifero turco (per quanto di recente siano state ridotte le importazioni). L'autorizzazione americana alla maggiore raffineria
turca di continuare ad acquistare greggio iraniano pare dunque rispondere più al pragmatismo che ad un reale riavvicinamento
tra i due Paesi. Ankara lo avrebbe fatto lo stesso. E la crisi tra i due Paesi si sarebbe aggravata.
Goldman Sachs si aspetta di vedere le esportazioni iraniane scendere dai 2,5 milioni di barili al giorno della scorsa primavera
a 1,15 entro fine anno. Durante il round precedente di sanzioni, l'export iraniano era sceso a un milione di barili (e nei
periodi più bui a 700mila barili al giorno. )
Il caso dell'India, alleato indispensabile degli Usa
Pur riducendo i suoi acquisti, l'India, il secondo importatore di greggio iraniano, aveva chiarito sin dall'inizio che, volente
o nolente, non poteva rinunciare a Teheran. Non solo. New Delhi starebbe anche valutando di acquistare un sistema missilistico
di difesa dalla Russia. Agli occhi di Washington sarebbe un'altra azione sanzionabile. Eppure Pompeo, che non vuole perdere
l'ultima potenza asiatica ancora amichevole, ha preferito soprassedere. «Il nostro sforzo è di non penalizzare i partner strategici»,
aveva precisato.
Giappone e Corea del Sud
Giappone e Corea del Sud, i due più solidi alleati asiatici di Washington, avevano anch'essi chiesto di ottenere un'esenzione.
Tuttavia hanno fatto il possibile per ridurre il loro import da Teheran.
Insomma i primi quattro acquirenti di greggio iraniano potranno continuare a importare il petrolio da Teheran. Non è tuttavia
chiaro quanto ne potranno importare e per quanto tempo lo potranno fare. In teoria i volumi dovrebbe essere gradualmente ridotti,
mentre la finestra di tempo non dovrebbe estendersi oltre i sei mesi, come prevede una legge americana. Salvo poi rinnovare
le esenzioni.
Il tempo dirà se le sanzioni a tolleranza zero volute da Trump saranno davvero efficaci. Se l’Iran si deciderà a rinegoziare in termini più sfavorevoli l’accordo sul nucleare firmato nel 2015. O se invece la Repubblica islamica riuscirà a resistere.
Unione Europea contraria alle sanzioni Usa
Questa volta lo scenario internazionale è diverso. Nel periodo 2012-2015, l'embargo petrolifero contro Teheran vedeva insieme
gli Stati Uniti di Barack Obama e l'Unione Europea. Determinati ad usare l'embargo come strumento di pressione per riportare
Teheran al negoziato sul nucleare (raggiunto poi nel 2015) . Oggi Bruxelles, che ha sempre difeso l'accordo sul nucleare abbandonato
da Trump lo scorso maggio, è contraria alle sanzioni americane. Ed intende mettere in atto una serie di strumenti affinché
le aziende europee possano aggirarle (in verità le maggiori compagnie da mesi stanno riducendo al massimo le relazioni commerciali
con Teheran).
Se è vero che, per essere efficaci e servire il loro scopo, le sanzioni internazionali necessitano del maggior numero possibile di adesioni, allora non si può escludere la possibilità che possano non ottenere i risultati voluti da Trump. C’è un’altra lista di cui tener conto. Quella dei paesi contrari a quest’embargo. Ed è una lista numerosa.
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