Se doveva essere un’ondata di piena, quella democratica è stata solo una vittoria ai punti: il partito di opposizione conquista con ampio margine la Camera dei rappresentanti e alcuni nuovi governatori. Ma il Senato resta ai repubblicani che aumentano sensibilmente i loro seggi. E se queste elezioni di medio termine dovevano essere – come sono state – un referendum su Donald Trump, il risultato non è quella condanna che molti in America e soprattutto nel resto del mondo speravano: la questione è quantomeno controversa. Il presidente troverà qualcuno da accusare per aver perso così chiaramente la Camera: negli ultimi giorni di campagna elettorale aveva già cominciato a preannunciare brogli elettorali dell’avversario.
Per conquistare la maggioranza alla Camera, i democratici dovevano prendere 23 seggi ai repubblicani: nella notte ne avevano
conquistati 35. Fino a ieri i repubblicani erano maggioranza nelle legislature di 31 stati e in 25 di questi avevano anche
il governatore. I democratici solo in otto stati. I risultati di questa notte non sono ancora del tutto completi ma sembra
chiaro che il partito democratico abbia avuto un importante successo nel voto sui governatori.
Tuttavia Trump reclamerà come sua la vittoria in Senato. In un certo senso oggi il partito repubblicano è ancora più suo di
quanto fosse ieri. E questo aumenta la possibilità che un secondo mandato fra due anni non sia più un’eventualità impossibile.
Lo sarebbe stata se i repubblicani avessero perso anche la maggioranza in Senato.
Quale presidente dunque le elezioni di Midterm riconsegnano all’America? Lo stesso di prima. Dal 2016 il Washington Post tiene conto delle bugie e delle mistificazioni di Trump: ne aveva contate 6.400 fino a l’altro ieri. Sicuramente il numero aumenterà presto. Se i democratici non fossero riusciti nemmeno a riconquistare la Camera, Donald Trump si sarebbe sentito un Re Sole. Ma i due anni quasi confortevoli di presidenza che Midterm gli garantisce gli permetteranno di riplasmare la sua corte alla Casa Bianca, come Luigi XIV fece con la sua a Versailles.
Per ogni presidenza le elezioni di midterm sono l’occasione per fare delle modifiche alla squadra presidenziale. Trump farà piazza pulita di tutti quei repubblicani che non avevano dimostrato la piena sottomissione alla sua causa populista-nativista. Nel primo anno alla Casa Bianca, Trump aveva sostituito il 58% delle persone che aveva nominato.
Probabilmente la prima vittima delle purghe del dopo-mdterm saranno il segretario alla Giustizia James Session e il suo vice Rod Rosenstein, colpevoli di non aver fermato l’inchiesta di Robert Mueller sui rapporti fra Trump e i russi. È probabile che il presidente cerchi di fermare anche Mueller; e più difficile sarà lavorare per Jay Powell, il presidente della Federal Reserve le cui politiche monetarie sono invise a Trump.
Restano incerti il segretario alla Difesa Jim Mattis e John Kelly, il chief-of-staff della Casa Bianca. Ma non sarà facile, nonostante il loro rapporto col presidente sia pessimo: Mattis e Kelly, due ex generali, rappresentano l’ultimo contatto necessario fra l'amministrazione Trump e la realtà quotidiana del sistema che deve continuare a funzionare indipendentemente dai comportamenti impulsivi di Trump.
Una Camera dei rappresentanti chiaramente democratica e un Senato più repubblicano di prima aumenteranno la polarizzazione politica del Paese: fra i due partiti, fra l’America rurale e quella urbana, i giovani diplomati e quelli che non lo sono, i giovani e gli anziani, gli internazionalisti e gli isolazionisti. Prima di Midterm la metà degli elettori democratici considerava nemici gli elettori repubblicani, e viceversa. Da oggi sarà dunque più difficile tornare a una politica bipartisan che tutti rivendicano e nessuno pratica: lo scontro frontale continuerà fino alla grande battaglia presidenziale del 2020.
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