NEW YORK - È il nuovo uomo forte di Donald Trump al ministero della Giustizia. Uomo forte per davvero: Matthew Whitaker ama farsi ritrarre in pose da culturista, mentre solleva considerevoli pesi retaggio d’una carriera da giocatore di football americano ai tempi dell’Università. E pesi da alleggerire o da portare ne potrebbe sicuramente avere per il suo presidente in qualità di ministro a interim: dallo scandalo Russiagate che assedia la Casa Bianca alle crociate contro l’immigrazione.
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Altre qualifiche, per meritarsi il posto di Acting Attorney General, sembrano difettargli. Leggera, anzi leggerissima carriera
legale. Scarna e pressoché fallimentare quella politica. Addirittura lambita da truffe e reati quella nel business.
Una qualifica essenziale però c'è: il titolo di fedelissimo, al quale Trump ha dimostrato di tenere molto. Al predecessore
di Whitaker, il defenestrato Jeff Sessions, Trump non aveva mai perdonato quello che considerò un tradimento: si era fatto da parte proprio nel Russiagate, mettendo regole e interesse nazionale - nel caso specifico la necessità di evitare conflitti di interesse viste le relazioni
nascoste di Sessions con esponenti russi - davanti ai bisogni personali di Trump, quelli di controllare e sbarazzarsi al più
presto delle indagini su possibili manipolazioni elettorali a suo favore.
Whitaker ha dato invece prove indiscutibili di lealtà: da privato cittadino, anzi, stando a chi lo conosce, aveva concepito un determinato piano apposta per farsi vedere dal presidente.
«Andrò a Washington e mi farò notare in televisione», aveva promesso dal nativo Iowa. Detto fatto: riuscì a comparire sugli
schermi e sul sito di Cnn - paradossalmente il canale tv più odiato da Trump - nei panni di analista legale e da lì difese
a spada tratta il presidente. Come? Attaccando duramente proprio il procuratore speciale Robert Mueller, incaricato delle
indagini sul Russiagate, perché a suo dire avrebbe allargato eccessivamente la sua azione e qualcuno gli doveva tagliare gli
artigli.
E notare per questo si fece, da Trump, che è un grande consumatore di tutto ciò che viaggia sul piccolo schermo (meno di briefing
da leggere o ascoltare). Presto fu chiamato nell’amministrazione e installato quale capo di staff al fianco dell’ormai traballante
Sessions, al quale per recuperare statura agli occhi dell’inquilino della Casa Bianca non valsero più nè le credenziali di
primo senatore repubblicano ad averlo appoggiato in campagna elettorale, nè quelle di difensore di legge e ordine e neppure
una storia di accuse di razzismo (in un ultimo atto prima di lasciare ha ancora limitato la possibilità del Dipartimento di
intervenire su polizie locali responsabili di abusi e discriminazione).
Ma quanto è surreale l’ascesa di Whitaker alla Giustizia? Tanto da far ipotizzare a qualche studioso che possa persino essere irregolare. Le norme interne del Dipartimento della Giustizia
prevedono infatti che a prendere temporaneamente il posto di un ministro uscente sia il vice, in questo caso Rod Rosenstein.
Il quale è tuttavia a sua volta sulla lista nera di Trump, avendo finora protetto l’inchiesta di Mueller e avendo anche internamente
criticato il presidente (indiscrezioni dicono abbia proposto, non si sa quanto seriamente, di registrare segretamente Trump
per poterlo se necessario rimuovere per manifesta incapacità). Rosenstein non è stato licenziato ma è stato ora emarginato,
scivolato a numero due di Whitaker.
Le conseguenze restano tutte la verificare: è l'ex giocatore di football adesso a supervisionare le indagini sul Russiagate, l’uomo al quale Mueller deve chiedere autorizzazioni
per procedere con incriminazioni, richieste di documenti, supplementi di indagini e risorse. Anche se Mueller, già direttore
dell’Fbi, non è uomo da arrendersi facilmente e stando a quanto affiorato ha cominciato a compilare il rapporto conclusivo
della sua inchiesta. Quello stesso rapporto che potrebbe però finire prima di tutto nelle mani di Whitaker. Numerosi gruppi
di dimostranti, denunciando rischi di insabbiamento, hanno inscenato proteste in strada contro la nomina.
Ma da dove viene il nuovo pretoriano di Trump? Cominciamo dal business. È stato per anni tra i consiglieri del board di World Patent Marketing, una società di Miami chiusa dalle autorità nel 2017
per aver ingannato gli investitori con promesse fasulle di aiutare la promozione di invenzioni. La società è stata anche multata
da un tribunale per 25 milioni di dollari. Altre avventure imprenditoriali lo videro comprare quote in una società di camper,
in un cementificio e in una scuola materna.
Passiamo alla politica: aveva tentato una corsa al Senato in Iowa miseramente naufragata nel 2014, nonostante donazioni, guarda caso, anche della
World Patent Marketing. Finì quarto nelle primarie repubblicane. Nel 2012 fu co-chairman di una delle più disastrose campagne
presidenziali della storia, quella nelle primarie repubblicane del governatore del Texas Rick Perry.
Miglior fortuna gli aveva arriso per qualche anno nella professione legale, quando aveva persuaso un'altra amministrazione repubblicana, quella di George W. Bush, a nominarlo procuratore federale per
il distretto meridionale dello Iowa tra il 2005 e il 2009. Chi lo conosce dice che anche qui fu più merito di abilità da faccendiere
che legali. Il suo grande caso, contro un senatore statale democratico che accusava di aver estorto duemila dollari, lo perse
malamente: la giuria bocciò la sua arringa in meno di due ore di camera di consiglio. E la sua opinione giuridica più nota
non ha impressionato: è convinto che la magistratura debba stare al suo posto, che è nettamente inferiore alla politica. Ben
poco altro da segnalare c'è nel suo curriculum da professionista privato: finiti gli studi all'Università dell'Iowa, lavorò
per alcuni studi locali e raggiunse l’apice quale legale della catena di supermercati scontati Supervalu. In una versione
trumpiana e un po' distorta del sogno americano, ora è diventato Guardasigilli.
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