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Turchia, ecco come ha fatto la crescita a incepparsi

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Turchia, ecco come ha fatto la crescita a incepparsi

Perché l'economia del Paese della Mezzaluna sul Bosforo si è inceppata? Perché è andato in crisi in suo modello di sviluppo degli ultimi 16 anni. Come è possibile? Vediamo i motivi di questa brusca frenata. Nell'era Erdogan, milioni di persone sono uscite dalla povertà e il Pil pro capite è passato da 2.500 dollari a 10mila, secondo il Fondo Monetario Internazionale. Ma con il miglioramento della qualità della vita, dovuta alle politiche liberiste messe in atto dal precedente ministro delle Finanze, il laico Kemal Dervish, poi bocciato alle elezioni del 2001, Erdogan ha anche seminato i semi dell'attuale crisi.

La svolta del boom delle costruzioni senza fine
Piuttosto che investire nelle fabbriche - il modo convenzionale per far crescere un mercato emergente - la Turchia, oggi 16° potenza economica al mondo, ha puntato sul settore delle costruzioni.
Dalla fine degli anni '90, la produzione industriale si è ridotta da oltre il 22% dell'economia a circa il 16%, secondo le statistiche del governo. Forse non tutti sanno che a far la parte del leone sono state le costruzioni e gli immobili che nello stesso periodo sono cresciuti rapidamente e ora rappresentano una quota uguale alla manifattura.

Questo modello di sviluppo puntava poco sulla innovazione e miglioramento della produttività e richiedeva un flusso costante di capitale in prestiti esteri. Gran parte di quel denaro è legato ai faraonici megaprogetti di Erdogan, che godono, e qui è il delicato passaggio, delle garanzie finanziarie del governo. Cioè possono diventare, in caso di insolvenza dei privati, dei problemi per l'Erario, sebbene il debito del governo turco non sia grande (42,7% del Pil secondo Eurostat) rispetto alle dimensioni dell'economia del paese della Mezzaluna sul Bosforo.

Gli analisti dicono che Erdogan e i costruttori hanno sviluppato una pericolosa convergenza. Il problema ora è che, dopo il rialzo dei tassi della Fed che ha rafforzato la valuta americana, le società turche hanno uno squilibrio tra i loro debiti e le loro entrate, avendo preso a prestito in dollari mentre i loro clienti li pagano in lire svalutate. Per ottenere i dollari necessari a rimborsare i loro prestatori, devono guadagnare sempre più grandi quantità di lire. Ecco perché la rivolta di Gezi Park, in difesa di un piccolo parco verde nel cuore di Istanbul, è stata repressa duramente. Perché attaccava politicamente il cuore del modello di sviluppo economico del partito di governo filo-islamico Akp.

Il debito estero
Si stima che ci siano 180 miliardi di dollari di debito estero turco che andrà in scadenza tra quest'anno e il luglio 2019, equivalenti a quasi un quarto del suo Pil annuo. Lo afferma uno studio della banca di investimento americana JPMorgan evidenziando il rischio di una forte contrazione per l'economia colpita dalla crisi valutaria da inizio anno. Certo l'economia del paese della Mezzaluna sul Bosforo ha messo a segno un 7% di crescita nel primo trimestre, poi scesa al 5,2% nel secondo trimestre e ora si prevede un calo ancora maggiore. Ma l'indebitamento estero è troppo elevato e la corsa andrebbe raffreddata per evitare i pericoli del surriscaldamento con l'inflazione al 18% nel mese di agosto.Questo è il cuore del problema.

Il calo delle vendite di case
Le vendite di case turche sono scese del 12,5% su base annua nel mese di agosto toccando quota 105.154 e l'emissione di mutui per acquisto di abitazioni sono crollate di due terzi: due segnali evidenti di un'aspettativa da parte degli operatori di un forte rallentamento economico del Paese della Mezzaluna sul Bosforo nella seconda metà dell'anno. Il calo è stato contrassegnato da un'inversione di tendenza da luglio, quando le vendite complessive delle case erano aumentate del 6,9% rispetto a un anno prima e questo è il primo calo delle vendite dal mese di aprile.

Intanto gli affitti degli uffici a Istanbul sono in caduta libera, ma nuovi centri commerciali sono in costruzione. Anche se le gru si ergono sopra il Bosforo, il numero di nuovi permessi di costruzione sta crollando vertiginosamente, segno della fine di un ciclo economico.

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