A più di due anni dal referendum del 23 giugno 2016 con cui il 51,8% dei britannici che sono andati a votare ha scelto di abbandonare la Ue, e a oltre un anno e mezzo dall’inizio dei negoziati avviati il 29 marzo 2017, l’Unione europea e il Regno Unito hanno raggiunto l’accordo ufficiale per l’uscita del primo membro dalla nascita della Ue dopo quarantacinque dall’adesione. È una tappa storica ma anche un giorno «triste» e «una tragedia» ha commentato il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker. L’annuncio arriva via Twitter e lo dà il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk:«I 27 leader Ue hanno dato il via libera politico all'accordo di divorzio» dal Regno Unito «e alla Dichiarazione politica congiunta» sulle relazioni future.
Una pura formalità
Come capita in molti divorzi, l’ultima “udienza” è stata una veloce formalità, tutto era stato già discusso e risolto incluso
l’ultimo problema, Gibilterra, che ha fatto insorgere per pochi giorni la Spagna di Pedro Sanchez. I leader dei 27 Paesi
Ue hanno impiegato circa mezz’ora per firmare un trattato di quasi 600 pagine e per stilare una dichiarazione politica di
26 pagine che riassume i i futuri rapporti commerciali tra partner.
Il Consiglio europeo ha adottato il testo di conclusioni del vertice su Brexit in cui si invitano «Commissione, Parlamento europeo e Consiglio, a fare i passi necessari per garantire che l'accordo possa entrare in vigore il 30 marzo 2019, in modo da assicurare un recesso ordinato» del Regno Unito, scrive su Twitter Preben Aamann, portavoce del presidente Tusk.
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Un’amichevole minaccia
L’Unione europea ha dato una carezza ma anche minacciato il premier Theresa May che torna in patria con un testo che deve
fare approvare da un Parlamento con troppi mal di pancia (le date più probabili per il voto parlamentare sono il 10 o 11 dicembre, dice May agli altri leader) : questo accordo - hanno detto i 27 leader alla primo ministro britannica - è il migliore possibile e non migliorerà se
il Parlamento del Regno Unito vota no. Come dire: è la vostra ultima chance per concludere il divorzio con un accordo, in
mancanza del quale sarà disastro dicono tutti in coro, dal Fmi alla City alla Bank of England alle piccole e medie imprese
del Regno.
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Juncker si è rivolto direttamente alla Camera dei Comuni invitando i deputati britannici a ratificare l’accordo firmato oggi perché «è il migliore possibile, tenetelo a mente quando sarete chiamati a ratificare. È l’accordo migliore per il Regno Unito, il migliore accordo per l’Europa ed è l’unico accordo possibile», ha concluso Juncker. Non ci si siederà di nuovo al tavolo dei negoziati, insomma, e questa in una certa misura è una buona notizia perché adesso sia il Regno sia l’Unione sia i mercati e l’economia tutta possono contare su un punto fermo. Ma la buon notizia finisce qui.
May: ora un cruciale dibattito nazionale
Theresa May sa che non sarà facile far passare questo compromesso che come tale scontenta sia chi voleva un’uscita più
netta - i brexiteer radicali - sia chi sperava di rimanere nell’Unione - i remainer - magari grazie a un secondo referendum.
Così la premier britannica scrive una «lettera alla nazione» con data di ieri in cui promette di dare «cuore e anima» per far passare questo accordo in Parlamento il cui voto sarà, si aprrende oggi, tra il 10 e l’11 dicembre. La signora May è già in campagna elettorale. Ammette che in qualsiasi negoziato «non si ottiene tutto ciò che si vuole», e ora, dice, «inizia un cruciale dibattito nazionale». Al Parlamento britannico, continua, spetta decidere «se avere più incertezza o voltare pagina insieme», «io - dice - porterò lì il testo convinta di aver ottenuto il miglior accordo possibile e credo che i nostri migliori giorni debbano ancora arrivare, ma nelle prossime settimane il mio compito è quello di sostenere la causa di questo accordo».
La signora May non si può permettere nulla in questo momento e in un passaggio deve abbandonare anche quello stile a cui pare tenere tanto quando sceglie scarpe e tailleur, sottolinea infatti di «non condividere la tristezza degli altri Paesi Ue». È però d’accordo con la controparte su un punto: «Se qualcuno pensa che sia possibile un altro accordo, si sbagliano. Questo è l'accordo sul tavolo, ed è l'unico possibile».
Uno storico giorno triste
Alla fine del vertice lampo infatti molti leader commentano, «questo è un Consiglio europeo storico ma scatena sentimenti
misti» dice Angela Merkel. Lo ammette persino il premier italiano Conte che in teoria dovrebbe gioire perché a capo di un
governo che filtrato non poco con la furia Brexit che ha travolto il Regno Unito in questi due anni. Il presidente francese
Macron è stato ancora più esplicito: questo storico giorno è triste non solo perché il primo membro se ne va ma anche perché
il divorzio mette in discussione tutta l’Ue «che ha bisogno di una profonda rifondazione su cui stiamo lavorando e su cui
dobbiamo continuare a lavorare». Merkel cerca però di salvare le apparenze, sottolinea che
«la cooperazione tra i 27, la Commissione Ue e il Parlamento europeo è stata eccellente» e che l'accordo di divorzio «è nel
nostro interesse». «Provo sollievo per aver ottenuto quanto è stato ottenuto» ha concluso. E ha ragione perché la parte che
esce meglio da questo lungo confronto è proprio l’Unione, è il piccolo Regno Unito ora a dover digerire un testo così lontano
dai giorni della propaganda referendaria.
Cambio di scena
Così adesso la scena si sposta a Londra con i pochi trionfanti, i tanti malumori ma anche il realismo di certi ministri
come il capo della diplomazia Jeremy Hunt che ammette: questo accordo è meglio che niente, meglio cioè che «restare nella
Ue». Il parlamento europeo invece non voterà l’accordo prima di febbraio o marzo.
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