Non è mai stato un presidente davvero popolare. Emmanuel Macron è arrivato all’Eliseo già circondato di un’immagine appannata da un po’ di arroganza, alcune gaffes e qualche piccolo scandalo, anche se la ventata di novità che ha portato nella vita politica francese - i partiti tradizionali sono stati ridimensionati bruscamente - e la vittoria su Marine Le Pen, un personaggio politico che, a causa della sua stessa retorica, non è in grado di dare sicurezza, e quindi fiducia, hanno alimentato a lungo quell’immagine che lui ama proporre di sé: il presidente-filosofo (è stato assistente editoriale di Paul Ricoeur), Giove all’Eliseo, il giovane erede (nientedimeno) di Napoleone Bonaparte e Charles de Gaulle.
Un ampio consenso elettorale
I voti che riceve al secondo turno delle presidenziali in realtà non sono pochi. Il 43% di aventi diritto che vota per lui
(e che corrisponde al 66% dei votanti) non sono il 62% che ottenne Jacques Chirac quando il suo avversario era Jean-Marie
Le Pen , ma è superiore alle percentuali ottenute da Sarkozy, Hollande, e lo stesso Chirac al suo primo mandato. Quasi
uguali a quelle che avevano premiato François Mitterrand.
La luna di miele negata
Il successo al voto è dunque clamoroso, considerata la tenuità dell’esperienza elettorale (ma non di quella personale, indubbiamente
più ricca di quelle di qualunque leader politico in attività) di Macron. I primi sondaggi di opinione, però, non rivelano
un grande consenso: il primissimo, a maggio 2017, segnala anzi una leggera prevalenza di persone che lo disapprovano (46%
contro il 45%). Sarkozy e persino Hollande avevano iniziato meglio, solo Chirac era meno amato del presidente “Jupitérien”.
Le Macronades
La primissima fase vede comunque una tenuta dei consensi per il presidente. Da maggio a luglio 2017, prevalgono coloro che
approvano Macron, con una media del 45% (i dissensi si fermano al 38%). Le elezioni legislative si trasformano in un imprevisto
successo. Poi cominciano a pesare le Macronades (o, in tono più dispregiativo, le Macroneries, con un’evidente assonanza con le conneries termine traducibile solo con un brutale e volgare “cazzate” ): le gaffes del presidente. Il 2 luglio, all’inaugurazione di
Station F, il campus di start up di Parigi che ha sede nella Halle Freyssinet, l’ex magazzino merci della Gare d’Austerlitz,
dichiara che «una stazione è un luogo dove si incontrano coloro che hanno successo e coloro che non sono niente».
I primi della cordata
Le polemiche scoppiano, anche perché non è proprio una gaffe. È noto che al presidente piace, elitariamente, premiare i «primi
della cordata». È chiaro però che una cosa è lodare e incentivare chi apre nuove vie, un’altra cosa è disprezzare chi è dietro.
Il ricordo del socialista Hollande che prendeva in giro i “senza denti”, i poveri, è ancora fresco. L’11 luglio, parlando
dell’Africa, Macron parla poi di «sfida di civiltà»: «Quando in alcuni paesi si hanno ancora da sette a otto bambini per donna,
potete decidere di spendervi miliardi di euro, ma non ricaverete niente». Nulla da eccepire sul piano economico: la crescita
pro capite dovrebbe sempre superare il ritmo demografico, ma nelle parole del presidente - che pure aveva avuto parole di
dura condanna del colonialismo - si nota un tono di superiorità fuori luogo.
Luglio 2017: le dimissioni di de Villiers
Non saranno le ultime gaffe. A ottobre parla di manifestanti che non dovrebbero «foutre le bordel» - alla lettera “fottere il bordello” - ma andare a cercarsi un lavoro, con accenti paternalistici che torneranno anche
recentemente. È però nel mese di luglio che le parole di troppo del presidente scatenano la prima crisi istituzionale: Macron
rimprovera pubblicamente, sia pure senza nominarlo, il capo delle forze armate Pierre de Villiers che, di fronte alla prospettiva
di tagli alle spese militari, aveva dichiarato: «Non mi lascierò fottere ( baiser, in francese, ndr) così». Villiers dà le dimissioni, scatenando polemiche contro il presidente. I suoi consensi calano fino al 30% in un sondaggio
You.gov di agosto.
Settembre 2017: una luna di miele ritardata
Da settembre, e inaspettatamente, le quotazioni di Macron aumentano. I sondaggisti sono sorpresi: non è mai accaduto una ripresa
così decisa nei primi mesi di un mandato presidenziale. È una sorta di “luna di miele” - di cui nessun predecessore ha goduto
- ritardata. In questa fase Macron vara le sue prime riforme e nel discorso della Sorbona a settembre riesce - unico leader
del Vecchio continente - a proiettare il desiderio di grandeur francese, e quindi il tradizionale nazionalismo del paese, in uno scenario europeo ed europeista. A dicembre, un sondaggio
Odoxa - società in genere generosa con il presidente - gli accredita un 54% ma anche il più severo you.gov gli attribuisce
un 41%.
Gennaio 2018: l’aumento dei contributi sociali
A gennaio 2018, una nuova inversione di marcia. Scatta l’aumento delle Contributions Sociales Généraliseés, imposte destinate
a finanziare i servizi sociali. Passano dal 7,5% al 9,2% dei redditi per i dipendenti, per i quali però calano alcuni contributi,
con un aumento netto delle buste paga. Per i pensionati, invece, le imposte passano dal 6,6% all’8,3%, con una perdita del
potere d’acquisto: è proprio questo il tema dominante nel dibattito pubblico (aumentano pure le accise sui carburanti). Pesa
anche la rinuncia a costruire l’aeroporto di Notre-Dame-des-Landes - politicamente l’equivalente francese dell’italiana Alta
velocità Torino Lione - nel nord ovest, considerata come un cedimento ai manifestanti. Il consenso cala - ancora una volta
nei sondaggi you.gov - fino al 32%.
Marzo 2018: la riforma delle ferrovie
Macron ha bisogno di mostrare forza e l’occasione sarà lo sciopero degli cheminots, i ferrovieri francesi. La riforma del settore riduce privilegi risalenti in alcuni all’inizio del ’900 e ormai privi di
senso, ma i sindacati reagiscono con uno sciopero a scacchiera molto ben organizzato, in modo da massimizzare i disagi riducendo
gli oneri per gli scioperanti. I francesi, per una volta, premiano la tenacia del governo e i consensi di Macron salgono fino
a toccare il 50% ad aprile (in un sondaggio Harris Interactive). You.gov, però, gli attribuisce ancora un misero 33%.
Luglio 2018: lo scandalo Benalla
La flessione riprende presto. Il dissenso per l’operato di Macron, diffuso soprattutto nella classe media, accelera in coincidenza
con lo scoppio dello scandalo Benalla, che ripropone i pettegolezzi sulla presunta omosessualità, sempre smentita, del presidente.
Un video mostrava il consigliere per la sicurezza dell’Eliseo (ora ex) Alexandre Benalla picchiare alcuni manifestanti durante
un’operazione di polizia - alla quale non era autorizzato a partecipare - durante gli scontri del 1° maggio. La vicenda accende
la luce sull’entourage del presidente. Il prefetto di Parigi, Michel Delpuech, parla di «derive individuali inaccettabili,
in un retroterra di favoritismi malsani».
Agosto 2018: si dimette Hulot
Ad agosto, un nuovo scossone. Dopo la defezione di alcuni collaboratori, il ministro della Transizione ecologica e solidale,
e militante ecologista, Nicolas Hulot - da sempre più popolare di Macron - dà improvvisamente le dimissioni. Anche se Macron
ha fatto del clima e dell’energia uno dei punti chiave della propria politica globale, molti sono stati i rinvii, i compromessi,
le frenate che il ministro ha subìto.
Ottobre 2018: Collomb lascia
Hulot sarà solo il primo: il 4 settembre è stato il turno della ministra dello Sport Laura Flessel, forse per prevenire uno
scandalo fiscale, mentre il 3 ottobre va via, in anticipo rispetto ai programmi annunciati, il ministro dell’interno Gérard
Collomb, grande difensore di Macron durante lo scandalo Benalla: l’anziano uomo politico preferisce correre - con successo
- per la carica di sindaco di Lione. Ad agosto il consenso per Macron scivola fino al 23%, per calare successivamente al 21%
a fine ottobre, con un numero di indecisi sempre più basso. Da inizio agosto a oggi, la media è stata del 30%, mentre gli
ultimissimi sondaggi, dopo le proteste dei Gilets Jaunes, gli automobilisti che contestano il caro gasolio e i nuovi limiti di velocità (80km/h sulle strade extraurbane) portano
gli scontenti oltre il 70%. I pettegolezzi ora parlano di un presidente in esaurimento nervoso, forse addirittura in depressione.
Un presidente aristocratico
In realtà Macron, dopo aver subito le proteste dei Jilet Jaunes, sembra aver capito. Ora parla di un «nuovo contratto sociale»
e si è reso conto che in tutte le democrazie occidentali c’è un problema di fiducia complessivo. Uno dei primi passi del presidente
fu una legge per favorire la fiducia nel mondo politico, che definiva una serie di regole per evitare conflitti di interesse,
ma la sua cultura politica, la funzione che ha deciso di svolgere in Francia e le sue scelte concrete - a cominciare dalla
riforma costituzionale, poi rinviata per l’Affaire Benalla - hanno sempre puntato a un irrigidimento e un rafforzamento del ruolo delle élites, delle aristocrazie francesi. Ora si
tratta di capire se riuscirà a convincere la Francia, dove soffia forte sia il vento del populismo che quello dell’égalité, che i suoi sforzi saranno sinceri.
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