NEW YORK - Le ultime sono state le dimissioni più drammatiche: il Segretario alla Difesa James Mattis se ne è andato sbattendo la porta. Con una lettera che ha condannato senza mezze misure la politica estera di Donald Trump, quella America First diventata sempre più America Alone. Che lui, ex generale dei marines, aveva cercato a lungo e con sempre minor successo di arginare. Una sconfitta accettata da guerriero, rivendicando i propri principi: il Presidente, ha detto, “merita” di avere a fianco qualcuno che la pensa come lui.
Dietro l'espressione educata ecco però la denuncia di «differenze inconciliabili»: dal ritiro dalla Siria dichiarando missione compiuta - la sconfitta di Isis nonostante solo nell'ultimo mese le forze americane abbiano condotto centinaia di operazioni - e lasciando i partner curdi alla mercè di Turchia e Russia; fino alla necessità di rispettare gli alleati e le storiche alleanze, a cominciare dalla Nato. Un j'accuse e dimissioni che lasciano oggi l'amministrazione, agli inizi della seconda metà del mandato di Trump, in preda al caos e protagonista di una porta girevole di ricambi che ne mettono in discussione stabilità interna e credibilità globale.
L'uscita di scena di Mattis è infatti forse la più influente ma è soltanto la più recente di una lunga serie di fughe o espulsioni dai ranghi del governo americano: oggi Trump ha almeno cinque posizioni ministerialI che richiederanno una conferma dal prossimo Congresso e i suoi primi due anni alla Casa Bianca sono costellati da una escalation di partenze che consegna alla sua amministrazione un primato davvero discutibile, il record assoluto nelle svolte al vertice.
James Mattis
I rapporti del 68enne James Mattis con Trump erano ormai logorati da tempo, prima dell'esplosione delle ultime ore. In ottobre,
durante una intervista, il Presidente stesso aveva segnalato esplicitamente le tensioni affermando stizzito che Mattis, a
suo parere, “era un democratico”. Screzi erano emersi ripetutamente sull'atteggiamento verso l'Alleanza Atlantica, che Mattis
difendeva strenuamente e Trump amava invece definire obsoleta trattando i partner come approfittatori della generosita' statunitense.
La decisione adesso presa da Trump di un totale e immediato ritiro dalla Siria delle duemila truppe americane è stata la proverbiale goccia che ha fatto traboccare il vaso: Mattis e il Pentagono si erano pronunciati esplicitamente
contro e il generale, in un gesto di estrema sfida, ha rifiutato il ripetuto ordine del Presidente di difendere pubblicamente
quella scelta; ha preferito redigere una lunga, dura e senza precedenti lettera di dimissioni che ha distribuito personalmente
allo staff. Le dimissioni di Mattis, effettive da febbraio, hanno anche una fortissima valenza simbolica: e' il terzo e ultimo
dei tre autorevoli generali e ex generali arruolati dalla Casa Bianca a disertare l'amministrazione. Prima di lui sono gia'
usciti di scena H.R. McMaster, consigliere di sicurezza nazionale, e John Kelly, inizialmente ministro della Sicurezza interna
e poi capo di gabinetto.
H.R. McMaster e John Kelly
I tre generali e ex generali di spicco - contando Mattis - erano arrivati agli inizi dell'amministrazione Trump per portare
ordine e dare autorevolezza a un'amministrazione con un pesante deficit di credibilità politica e esperienza internazionale
piu' ancora che domestica. McMaster è stato il primo dei tre a cedere le armi. Alto ufficiale dell'esercito e dottorato in
storia americana, 56 anni, ha avuto ruoli di primo piano nella Guerra del Golfo, nelle operazioni in Iraq e nell'offensiva
globale contro il terrorismo. Prese le redini del Consiglio di sicurezza nazionale da Michel Flynn, travolto dopo pochissimi
giorni dalla nomina dal coinvolgimento nel Russiagate. Aveva rapporti difficili in realtà anche con Kelly e Mattis, ma ruppe
soprattutto con Trump: i disaccordi sulla politica nei confronti di Iran, Corea del Nord e Russia - dichiaro' enfaticamente
che Mosca aveva interferito nelle elezioni statunitense del 2016 - divennero troppo profondi, tanto da essere costretto a
lasciare lo scorso marzo. Al suo posto e' subentrato il neocon in pensione e convertito al populismo John Bolton. Kelly, 68
anni, ex marines come Mattis, e' stato il terzo chief of staff di Trump, chiamato per portare ordine in una caotica Casa Bianca.
Alla fine ha dovuto cedere agli istinti del Presidente. Nonostante il suo atteggiamento durissimo sull'immigrazione che lo
accomunava a Trump, gli screzi si sono moltiplicati e il Presidente lo aveva progressivamente emarginato dalle decisioni.
L'apice della sua influenza lo raggiunse con la rimozione dell'eminenza grigia della Alt-Right Steve Bannon dalla Casa Bianca
nell'agosto 2017. Ma presto comincio' il declino nel clima di faide interne e con presidente imprevedibile. In giugno era
venuto alla luce che Kelly aveva definito la casa Bianca “un luogo miserabile dove lavorare” e l'annuncio della partenza e'
arrivato agli inizi di dicembre. McMaster e' stato sostituito dal neocon in pensione e convertito al populismo John Bolton;
Kelly, da fine anno, lo sara' a interim dal direttore dell'ufficio di bilancio e rumoroso portavoce dei Tea Party Mick Mulvaney.
La Casa Bianca, insomma, senza Kelly, McMaster e Mattis rimane orfana di ben piu' che medaglie e stellette su divise appese
a un chiodo.
Jeff Sessions
Il 72enne Ministro della Giustizia era stato tra in primi grandi esponenti del partito repubblicano a sostenere la campagna
elettorale di Trump quando era senatore dell'Alabama. Trump lo ricompenso' con la poltrona di Attorney General, grazie anche
alle sue radicali posizioni anti-immigrazione e nonostante polemiche su passate posizioni razziste. I rapporti tra i due si
sono pero' ben presto logorati: Trump non gli ha mai perdonato di essersi fatto rapidamente da parte nell'inchiesta sul Russiagate,
che considera una caccia alle streghe. Sessions ha ammesso di aver nascosto contatti con l'allora ambasciatore russo a Washington,
Sergey Kislyak, e ha quindi deciso di evitare il conflitto di interessi, come prescritto, affidando l'inchiesta sulle manipolazioni
russe al suo vice Rod Rosenstein. Il quale ha da parte sua nominato procuratore speciale del caso l'ex capo dell'Fbi Robert
Mueller. Trump, a coronamento di lunga serie di insulti e gesti di disprezzo per Sessions, ha accettato le dimissioni del
Ministro all'indomani delle elezioni di Midterm di novembre e ha nominato a interim al suo posto il fedelissimo - con un passato
etico oscuro, compresi sospetti di truffa - Matthew Whitaker.
Nikki Haley
Ambasciatrice all'Onu, ex governatore della South Carolina (la prima donna a essere eletta a questa poltrona), ha annunciato
le dimissioni in ottobre, effettive da fine anno. Trump la sostituira' con Heather Nauert, portavoce del Dipartimento di Stato
ma le cui principale credenziali sono d'essere stata conduttrice Tv del canale conservatore e pro-amministrazione Fox News.
Haley, 46 anni e da sempre considerata politica seria e ambiziosa, era in una posizione divenuta sempre piu' scomoda e probabilmente
ha deciso di non bruciare eccessivamente la sua reputazione. Nonostante avesse sostenuto numerose politiche “nazionaliste”
e da America First della Casa Bianca in sede Onu, dallo spostamento dell'ambasciata in Israele a Gerusalemme alle critiche
all'accordo nucleare con l'Iran, era considerata una repubblicana moderata e scarsamente in sintonia con le correnti piu'
estreme dei conservatori populisti. Tra le donne piu' potenti nell'amministrazione, aveva pero' anche difeso il diritto delle
accusatrici di Trump per molestie sessuali a essere ascoltate. Su di lei, al di la' delle tensioni politiche, erano inoltre
affiorati di recente sospetti di violazioni etiche per aver accettato regali e viaggi da business della South Carolina.
Rex Tillerson
Il 66enne, primo Segretario di Stato di Trump, e' stato anche la prima vittima “celebre” di America First. L'ex capo del colosso
petrolifero ExxonMobil, nonostante la sua contrarietà a sanzioni alla Russia lo avvicinasse a Trump, era chiaramente un “globalista”
con principi che cozzavano con quelli della Casa Bianca, affiorati nella difesa di accordi poi strappati dalla Casa bianca
quale quello di Parigi sul clima e quello di denuclearizzazione con l'Iran. Vide la sua carriera al governo terminata bruscamente
nel marzo di quest'anno attraverso un tweet del Presidente, mentre si trovava in viaggio diplomatico in Africa, dopo aver
piu' volte considerato lui stesso di presentare le dimissioni. Secondo indiscrezioni avrebbe definito Trump un “idiota” durante
incontri con i propri collaboratori. Una volta uscito, ha detto che Trump e' “indisciplinato, non ama leggere neppure i documenti
dei briefing e odia i dettagli limitandosi a dire ‘questo e' quel che credo'”. Trump ha ricambiato descrivendo Tillerson come
“ottuso quanto un sasso” e “pigro”. E' stato tra i Segretari di Stato con incarico piu' breve nella storia. Ne' durante la
sua gestione seppe far nulla per proteggere il morale del Ministero che gestisce la diplomazia americana, adeguandosi ai draconiani
tagli voluti da Trump a Foggy Bottom. Mentre era Ministro le domande di lavoro al Dipartimento si dimezzarono e le dimissioni
di funzionari senior aumentarono del 60 per cento. E' stato rimpiazzato dall'ex Direttore della Cia Mike Pompeo, considerato
un astuto politico e un fedele di Trump.
Gli altri
La litania di dimissioni e cacciate in questi due anni di amministrazione e' molto lunga anche alle spalle dei primattori.
Il Segretario agli Interni Ryan Zinke - una specie di ministro del territorio - si e' da poco dimesso travolto da scandali
su abusi di potere e corruzione. Il primo chief of staff Reince Priebus lascio' perche' considerato un politico repubblicano
troppo tradizionale e inefficace per Trump. Steve Bannon fu cacciato da stratega della Casa Bianca perche', dopo averlo aiutato
a salvare la campagna elettorale, faceva troppa ombra a Trump, rivendicando meriti per il successo del Presidente. Omarosa,
ex concorrente dei reality show televisivi di Trump divenuta controversa consigliera del Presidente, lascio' a fine 2017 e
da poco ha pubblicato un libro di memorie del suo periodo alla Casa Bianca dal titolo significativo “Unhinged”, liberamente
traducibile come “Follia”. Dal podio di portavoce, prima di Sarah Sanders, sono passati, bruciandosi, Sean Spicer e Anthony
Scaramucci. Dalla sanita' se ne e' andato tra gli scandali Tom Price. Il travagliato Ministero dei Veterani e' passato finora
attraverso quattro responsabili. Cambi sono scattati anche tra i legali della Casa Bianca, sono pressione per le inchieste
che assediano il Presidente. Questo elenco si gonfia ulteriormente se si considerano altri grandi “tradimenti” di collaboratori
di Trump fuori dal governo, in particolare quelli coinvolti nelle indagini su scandali e Russiagate: su tutti il suo ex avvocato
personale Michael Cohen, apostrofato da Trump come un “rat”, ovvero uno sporco delatore, e che ha accusato il Presidente di
aver orchestrato pagamenti illeciti per zittire due presunte amanti alla vigilia delle elezioni del 2016 e di aver tenuto
rapporti segreti di business con Mosca e il Cremlino ben piu' a lungo di quanto ammesso - almeno fino alla nomination - nella
speranza di costruire una Trump Tower nella capitale russa.
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