New York - L'amministrazione Trump sta lavorando in concreto a un accordo con la Cina che riesca a superare la pericolosa guerra commerciale tra le due grandi potenze economiche. E se un'intesa è ancora oggi men che certa, i contorni del dialogo prendono forma. Il Presidente Donald Trump ha caratterizzato gli sviluppi in corso con ottimismo - probabilmente eccessivo stando a stesse fonti vicine ai colloqui e dettato dalla necessità di offrire rassicurazioni a mercati scossi dalle sue intemperanze.
«Un accordo sta maturando molto bene», ha twittato. «Se lo facciamo, sarà molto comprensivo, riguarderà tutti gli aspetti, i campi e i punti della disputa». In dettaglio, però, i negoziatori americani stanno chiarendo le loro richieste: miglioramenti misurabili dell'export del made in Usa in Cina e nuove, garantite aperture nelle maglie delle regolamentazioni cinesi che ostacolano la presenza e penetrazione di gruppi statunitensi sulla piazza asiatica.
Il primo appuntamento formale tra delegazioni è già fissato per la settimana del 7 gennaio a Pechino, dove si recherà una squadra guidata dal vice rappresentante commerciale della Casa Bianca Jeffrey Gerrish e da un veterano del Tesoro americano, David Malpass, che aveva già servito sotto Ronald Reagan e George H. W. Bush. Eventuali progressi saranno cruciali ad una seconda tappa negoziale, fin dalla settimana successiva, a Washington: qui arriverebbe una squadra cinese capitanata dal vice premier Liu He. A quel punto potrebbero scattare incontri a più alto livello, che coinvolgano il Rappresentante commerciale Robert Lighthizer - responsabile ultimo della trattativa da parte americana - affiancato dal Segretario al Tesoro Steven Mnuchin.
Segni di un potenziale dialogo più produttivo sono affiorati tra le tensioni. Mnuchin, considerato una colomba commerciale rispetto al falco Lighthizer, è riuscito a persuadere l'amministrazione nei giorni scorsi a non intervenire con sanzioni ad ampio raggio contro aziende cinesi in risposta a uno scandalo di spionaggio cibernetico. Un caso che ha visto l'incriminazione di due cittadini di Pechino al centro di una campagna orchestrata con il sostegno governativo per sottrarre informazioni riservate alle imprese statunitensi.
Il nodo nell'agenda commerciale, per gli americani, sara' mettere nero su bianco impegni cinesi che considerino adeguati: manca ad oggi la definizione di passi precisi per il rispetto di una promessa di aumentare gli acquisti di beni e servizi statunitensi di 1.200 dollari. Pechino potrebbe usare previsioni di aumento nel suo import di servizi nei prossimi cinque anni, 2.500 miliardi, per puntare genericamente a quel traguardo. Aperture concrete gli americani le cercheranno anche sul grande mercato cinese del riso: al momento esportano solo due milioni l'anno.
Inedita flessibilità e riforme vengono inoltre chieste nel settore finanziario e tecnologico, un terreno decisamente più complesso. Il piano è qui di mettere al bando pressioni di funzionari cinesi sul trasferimento di tecnologia a partner locali quando le società americane vogliono operare su quel mercato. Servirebbero inoltre assicurazioni verificabili sull'eliminazione di restrizioni al ruolo di gruppi statunitensi nei mercati finanziari cinesi: non solo aperture delle normative ma anche l'impegno a non utilizzare barriere indirette, quali ostacoli o ritardi nelle licenze e persino restrizioni ambientali.
Ad oggi, per dare spazio alle trattative, l'amministrazione Trump ha sospeso un aumento dei dazi punitivi su prodotti cinesi per 200 miliardi di dollari, dall'elettronica ai mobili: dovevano salire dal 10% al 25% a gennaio, una scadenza rinviata al 2 marzo. Pechino ha intanto abbassato dazi di rappresaglia sulle auto Usa e annunciato maggiori acquisti di soia americana. Momenti di alta tensione che mostrano la fragilità del dialogo però non mancano: tra questi l'arresto in Canada su ordine statunitense di un top executive del colosso cinese delle Tlc Huawei, nonché figlia del fondatore del gruppo, per violazione delle sanzioni all'Iran.
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