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Negoziato Usa-Cina, le concessioni di Pechino potrebbero dividere la Casa Bianca

NEW YORK - I negoziati commerciali in corso a Pechino tra le delegazioni ministeriali di Stati Uniti e Cina «procedono bene». Andranno avanti per un giorno in più «fino a mercoledì», ha fatto sapere Steven Winberg, funzionario del Dipartimento Energia Usa coinvolto nei colloqui.

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La ragione per cui i negoziati sono stati prolungati per un terzo giorno, rispetto ai due giorni inizialmente programmati, non è stata resa nota. La notizia ha intonato positivamente i mercati finanziari europei e americani, sulla spinta dei tweet ottimistici del presidente americano Donald Trump - «I negoziati con la Cina stanno andando molto bene» - che continua a dirsi fiducioso sulla possibilità di un accordo più ampio sulla war trade. Ottimismo espresso inoltre dal segretario al Commercio Wilbur Ross: «Ci sono buone possibilità di ottenere un accordo ragionevole» con la Cina.

La Cina parlerà solo alla fine del round negoziale
Le autorità cinesi parleranno solo al termine del round negoziale di Pechino. Come confermato dal portavoce del ministero degli Esteri cinese Lu Kang: «Rilasceremo un resoconto dettagliato quando i colloqui saranno terminati». Ma la presenza all’apertura dei lavori del vice premier Liu He, il capo negoziatore cinese e uomo di fiducia del presidente Xi Jinping - presenza non prevista inizialmente dalle delegazioni tecniche - testimonia l’importanza che per Pechino hanno i negoziati con gli Stati Uniti. Primo faccia a faccia tra le due delegazioni dopo la cena in Argentina tra Trump e Xi, il primo dicembre scorso, in cui fu decisa la tregua di novanta giorni sulla war trade.

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Le concessioni di Pechino
La delegazione ministeriale americana a Pechino è guidata dal vice rappresentante al Commercio Jeffrey Gerrish e da David Malpass, il sottosegretario al Tesoro con la delega agli affari internazionali. Assieme a funzionari dei relativi Dipartimenti, più quelli di Agricoltura ed Energia. I cinesi sarebbero pronti a offrire un mix di concessioni agli Stati Uniti, a partire dalla riduzione delle tariffe sui prodotti made in Usa. Ieri la delegazione cinese avrebbe dato già il via libera all’import di semi ogm made in Usa, nei lavori con li Dipartimento all’Agricoltura. Pechino dal primo dicembre ha già aumentato gli acquisti di riso e di soia americani. Si prepara a fare lo stesso nel campo dell’energia con il gas naturale liquefatto Usa. La Cina ha abbassato i dazi sull’import di auto made in Usa dal 40 al 15%. E ha preparato una bozza di normativa per la tutela della proprietà intellettuale. Gli americani chiedono garanzie nell’applicazione degli accordi e migliori possibilità di accesso sul mercato cinese per le aziende Usa.

Davos e il secondo round a Washington
Se i primi negoziati saranno “costruttivi”, i colloqui continueranno a fine mese a Washington, al più alto livello, con il capo negoziatore americano Robert Lighthizer e il segretario al Tesoro Steven Mnuchin. I negoziati ad alto livello continueranno a margine del World Economic Forum di Davos, in Svizzera, dal 22 al 25 gennaio, dove Donald Trump ha confermato la sua presenza e dovrebbe incontrare il vice presidente cinese Wang Qishan, secondo la stampa cinese. La scadenza per arrivare a un accordo è il 2 marzo. Secondo diverse fonti gli americani vorrebbero chiudere il negoziato prima del termine, per dare un segnale positivo ai mercati.

Casa Bianca divisa tra falchi e colombe
L’esito dei negoziati però non è affatto scontato, nonostante le attese, perché secondo diversi osservatori le aperture cinesi rischiano di dividere la Casa Bianca. Potrebbero soddisfare le aspettative dei consiglieri più moderati di Trump, come il segretario al Tesoro Mnuchin e il consigliere economico Larry Kudlow. Ma rischiano di non accontentare il lato più “duro” dell’amministrazione guidato da Lighthizer e dall’economista Peter Navarro.

I mercati e le aziende vogliono l’accordo
Tutti però sperano in un accordo. I cinesi che, secondo tutte le stime, quest’anno vedranno rallentare la crescita economica attorno al 6%, peggiore dato dalla crisi di piazza Tien An Men del 1989, e hanno già deciso un piano di contromisure di stimolo per l’economia. Le aziende americane che fanno affari in Cina, come Apple o FedEx, che nei loro report già spiegano il calo dei ricavi con i problemi legati alla war trade con la Cina. Altre big company Usa come General Motors, Boeing e Caterpillar, molto presenti nel paese, che temono ripercussioni sulla loro crescita. Interessate direttamente all’accordo sono anche le aziende europee che, messe assieme, esportano in Cina più degli Stati Uniti. Premono per un’intesa gli investitori. Nell’ultimo anno a Wall Street con l’escalation della guerra commerciale l’indice S&P 500 ha perso l’8% del suo valore.
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