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Brexit, 4 giorni di passione prima del voto. Ipotesi rinvio o restare…

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le tappe fino al 15 gennaio

Brexit, 4 giorni di passione prima del voto. Ipotesi rinvio o restare nella Ue

Il 15 gennaio, cioè martedì prossimo, il parlamento britannico vota sull’accordo per l’uscita del Regno Unito dalla Ue siglato a fine novembre tra la premier May e i leader dei 27 paesi Ue. Gli ultimi mesi sono stati un calvario interrotto dalla pausa natalizia.

11 dicembre: paura flop, voto rimandato
Il voto sull’accordo si doveva tenere l’11 dicembre scorso ed è stato rimandato dal governo May per la paura di una probabile bocciatura - contrari parte dei deputati conservatori, molti laburisti, tutti i pochi ma decisivi parlamentari unionisti nordirlandesi, alleati per necessità di questo governo May ma ora sulle barricate per un accordo che minaccia la ragione stessa della loro esistenza e delle loro battaglie in una Irlanda divisa in due (il backstop è il grande problema di questo accordo su cui neanche la Ue è del tutto convinta).

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9 gennaio: contro il «No deal» spunta il Piano B
Il voto si annuncia drammatico: il prologo al 15 gennaio è andato in scena a Westminster mercoledì scorso con la primo ministro britannica costretta da una mozione - presentata dal deputato conservatore Dominic Grieve approvata con 308 sì contro 297 no - che la costringe a presentare entro tre giorni utili un piano B nel caso molto probabile in cui il parlamento britannico rigetti l’accordo firmato con la Ue. Un piano B che è di fatto una risposta a brutto muso allo spauracchio del «no deal» che Theresa May agita da mesi soprattutto da dicembre quando ha capito di non avere una maggioranza.

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11 gennaio: da «no deal» a «no Brexit» è un passo
Il weekend è il momento propizio per qualche scena madre di questa classe dirigente britannica, si lanciano interviste, si aprono ostilità, si fanno filtrare indiscrezioni, piani, minacce, la stampa ringrazia. Questo weekend si apre con la voce Ue del primo ministro olandese Mark Rutte, leader di un paese politicamente e culturalmente vicino a l Regno Unito ma che inevitabilmente beneficerà della Brexit se morbida: «importante è evitare un no deal» dice Rutte. Le stesse parole usate dal presidente della commissione europea Jean-Claude Juncker: bisogna fare qualsiasi sforzo, dice, per impedire che si arrivi a una Brexit senza accordo. Juncker tuttavia è pronto a dare tutte le rassicurazioni del caso ma non a rinegoziare i termini dell'intesa.

Juncker e il leader olandese si limitano a questo. Jeremy Hunt, ministro degli Esteri britannico della squadra May, dice oggi che un no all’accordo porterebbe a una paralisi del Regno Unito e possibilmente a una «no Brexit» cioè si resterebbe nella Ue.

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11 gennaio: due campioni di Brexit non ci credono più
Due dei più grossi tifosi e finanziatori della campagna del Leave nel 2016, cioè dell’addio del Regno alla Ue deciso con referendum due anni fa, non ci credono più. Peter Hargreaves, miliardario grazie all’omonima catena di supermercati e secondo più munifico finanziatore della campagna del Leave, e Crispin Odey, manager esperto di hedge fund, dicono a Reuters che ormai si aspettano che la Gran Bretagna rimanga nella Ue nonostante la vittoria al referendum di due anni fa. Hargreaves prevede che il governo chiederà un’estensione della procedura di uscita cioè dell’articolo 50 del Trattato - quindi non varrebbe più la data del 29 marzo fissata per legge- e chiederebbe poi un secondo referendum, ipotesi che la signora May ha finora negato con tutte le sue forze.

12-13 gennaio: diversi scenari di un possible rinvio
Il fatto è che in questi giorni prima del voto chiunque a Londra e a Bruxelles sta prendendo atto di un fatto: questo accordo non piace agli europeisti, agli euroscettici, ai deputati nordirlandesi ed è ufficialmente appoggiato solo da una minoranza dei Tory.

Si delineano più scenari che saranno analizzati in queste ore.
Primo scenario: un rinvio di sei settimane con il Regno Unito che rimane membro Ue fino alla vigilia delle elezioni europee del 23-26 maggio.

Secondo scenario: un rinvio a fine giugno: ratificherebbe l’uscita del Regno Unito l’attuale parlamento Ue perché quello nuovo che uscirà dalle urne di maggio si insedia il 2 luglio, quindi l’impatto sarebbe tutto sommato limitato.

Terzo scenario: se il 2 luglio la Gran Bretagna è ancora membro Ue è saltato tutto, due anni di negoziati in fumo, nessun accordo è valido, si aprirebbero contenziosi legali e probabilmente si ripiegherebbe sullo status quo.

Incertezza grande dunque e c’è chi già ipotizza che i britannici possano addirittura essere chiamati alle urne per europee tardive - dopo che gli altri 27 Paesi a fine maggio avranno votato - se il Paese nel frattempo non ritirerà formalmente i suoi eurodeputati. Beffa somma per i Brexiteers.

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14 gennaio,si conta. 15 gennaio, si vota
Siamo a lunedì, vigilia del voto. Al netto di coloro che cambieranno idea all’ultimo momento, i numeri sono questi: i parlamentari che votano sono 650. I deputati conservatori sono 317, il governo May ha una maggioranza risicatissima di 327 deputati, solo 13 deputati in più grazie all’appoggio decisivo dei 10 unionisti nordirlandesi (voti su cui la premier non potrà contare). Il Labour ha 257 seggi, il partito nazionalista scozzese 35 e i liberaldemocratici 11 (questi due ultimi partiti sono da sempre i più convinti europeisti contro l’uscita dalla Ue).

Potenzialmente le opposizioni, se il Labour vota compatto contro l’accordo, contano su 303 voti, basta dunque che poco più di una ventina di conservatori votino contro che la proposta di uscita di Theresa May salti. Ma i ribelli, i contrari, i non persuasi fra i Tory sembrano molti di più. Anzi finora i deputati conservatori che hanno dichiarato il sì all’accordo sono 29 a cui si aggiungono un centinaio fra i ministri e il gruppo dei parlamentari fedeli alla linea del partito. A pochi giorni dal voto, May ha dunque in mano solo 129 voti sicuri. Dal lato opposto quelli che hanno dichiarato il loro voto contrario sono finora solo 69 (di cui 16 Tory).

Detta così la partita sembra aperta ma se si guarda a quello che è successo sinora non ci si può abbandonare all’ottimismo: e secondo la Bbc la May perderà con uno scarto di 228 voti.

A meno di altri colpi di teatro comunque, il giorno dopo, martedì 15 gennaio ore 19, le 20 in Italia, si vota e sapremo.

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