Una di quelle congetture dei cronisti politici che dura lo spazio di mezzo pomeriggio ma che subito convince perché suggestiva, narrava ieri che la premier britannica Theresa May avrebbe perso il voto su Brexit con uno scarto di cento voti, ciò le avrebbe permesso di tornare alla Camera dei Comuni con un accordo emendato dopo un necessario passaggio a Bruxelles. Il tutto in pochi giorni per non compromettere nulla davvero.
I Tory, una macchina impazzita
Alla base di questa ipotesi - completamente smentita dai fatti di ieri sera, l’accordo Brexit di May è stato affossato da 432 «no», lo scarto è stato di 230 voti - c’era l’idea che i conservatori
britannici non volessero davvero pugnalare a morte la loro premier se non altro per interesse, solo umiliarla un po’, far
sentire il peso del partito e della fronda interna, farla tornare dai leader Ue a chiedere un accordo meno umiliante per l’ex
Impero (in questi momenti di crisi gli scrittori di Sua Maestà tirano fuori la motivazione da trauma per l’Impero perduto,
declinata come nostalgia per il bel tempo che fu o arroganza di una grandezza che esiste solo nella testa dei più cocciuti
isolani).
Sia come sia, questa lettura non teneva conto del fatto che in questa stagione politica, nel Regno Unito e altrove, c’è poco spazio per i tradizionali tatticismi novecenteschi. Tutto si consuma in fretta e con violenza, se vogliamo trovare il lato positivo ciò fa sì che il quadro velocemente muti. Il partito conservatore britannico non fa eccezione, è una macchina difficile da interpretare e manovrare. Della sua tenacia ottusa si è più volte detto, oggi interessa capire se Theresa May ha chance di sopravvivenza politica.
VIDEO / Brexit, dal referendum alla bocciatura - La timeline
Theresa dei miracoli?
La prima donna premier dai tempi di lady Thatcher affronta oggi il voto di sfiducia presentato e ampiamente preannunciato
dal leader del Labour, Jeremy Corbyn. Paradossalmente la mossa del capo dell’opposizione che mira a far cadere questo governo
Tory, andare a nuove elezioni, prendere il posto di May, potrebbe resuscitare l’imperturbabile premier. Perché un conto è
affossare l’accordo su Brexit - su questo si sono trovati d’accordo 118 conservatori ribelli, 248 laburisti, 35 nazionalisti scozzesi, 11 Libdem, 10 unionisti nordirlandesi più una decina di deputati di partiti minori - un conto è rischiare nuove elezioni. Sarebbe certo normale che May lasciasse
ora il posto a qualche collega di partito, non per forza a Boris Johnson, il volto più radicale di Brexit, ma andare a votare
di nuovo vorrebbe dire non solo gettare nel caos un paese già allo sbando dopo il voto di ieri, ma perdere quasi sicuramente
il governo del Paese. Anche se non è detto che questo Labour conquisti una maggioranza in grado di governare.
Le divisioni nel Labour che possono aiutare May
Che anche dentro il Labour inizino a emergere dei distinguo sulla linea è comprovato dal fatto che 71 deputati dell’opposzione
sono usciti alla scoperto e hanno finalmente detto di volere un secondo referendum su Brexit, eventualità sempre respinta dal leader Corbyn e ancora oggi dalla stessa May. John McDonnell, ministro delle Finanze ombra
del Labour e uomo vicino a Corbyn, ha ammesso che la May non è spacciata, alla fine potrebbe mettere a punto un nuovo accordo
con il parlamento se negozia un compromesso col suo partito.
La mano tesa di Merkel
Da Strasburgo Michel Barnier, capo negoziatore Ue, continua a fare il suo lavoro svolto finora egregiamente. Ripete che questo è il migliore accordo possibile, spegnendo così le illusioni di chi pensa di
poter rimaneggiare il testo per farlo digerire ai conservatori britannici ribelli magari puntando sulle divisioni e i timori
della Ue a 27 finora incredibilmente unita. Una mano tesa arriva però dal cancelliere tedesco Angela Merkel: «Abbiamo ancora
tempo per trattare ma adesso la premier britannica deve fare una proposta» dice. Simile disponibilità tiene forse conto
della dichiarazione di esponenti dell’industria automobilistica tedesca delle ultime ore secondo cui un «hard Brexit» sarebbe
«fatale».
Quale che sia il motivo, Theresa May potrebbe ancora una volta dimostrare di non essere certo di ferro ma un sughero, nonostante
gli strattoni delle onde e di vari pesci, rimane a galla.
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