Inizia a Madrid il processo ai leader indipendentisti della Catalogna accusati di ribellione contro lo Stato spagnolo per aver organizzato il referendum sulla secessione (nell’ottobre del 2017) e per essere poi arrivati alla proclamazione unilaterale della Repubblica indipendente. Sono dodici gli imputati che si presenteranno davanti al Tribunal Supremo espanol e nove di loro sono in carcere da sedici mesi in attesa del giudizio. Altri sei esponenti del fronte indipendentista verranno invece processati per disobbedienza dal Tribunal Superior de Justicia de Cataluna.
Si tratta di membri del governo catalano destituiti, di presidenti e alte cariche del Parlamento catalano, di attivisti politici. Per molti di loro, a cominciare dall’ex vicepresidente della Generalitat, Oriol Junqueras, e dall’allora presidente del Parlament, Carme Forcadell, le accuse sono gravissime: malversazione, disobbedienza e soprattutto ribellione allo Stato spagnolo, un capo di imputazione che può costare loro fino a 25 anni di prigione. Non verrà invece giudicato, almeno per ora, l’ex presidente della regione, Carles Puigdemont fuggito in Belgio.
Cresce ancora la tensione tra Barcellona e Madrid
L’avvio del processo è destinato a far crescer la tensione tra Barcellona e Madrid. A Barcellona si prevedono nuove manifestazioni
di massa con le strade invase dagli indipendentisti e le bandiere, gialle e rosse con stella blu, segno dell’autonomia, a
sventolare nelle piazze e dai balconi. A Madrid si attendono migliaia di persone, davanti al tribunale, per sostenere i leader
catalani processati. Ma anche il fronte unionista, o costituzionalista come preferisce essere definito, si sta mobilitando,
già da domenica scorsa, per chiedere il rispetto della Costituzione e la condanna di chi ha tentato la secessione. «È il processo
più importante che abbiamo celebrato in democrazia», ha detto il presidente del Tribunal Supremo, Carlos Lesmes, il primo
febbraio, riferendosi al ritorno alla democrazia in Spagna dopo la morte del dittatore Francisco Franco nel 1975. Raul Romeva,
uno dei nove imputati in carcere dalla fine del 2017, ha attaccato la giustizia spagnola: «Una condanna al carcere peserebbe
per sempre sulla storia e sul futuro della Spagna», ha detto in un’intervista concessa a Reuters via e-mail.
Il premier Sanchez e le elezioni anticipate
Il premier socialista Pedro Sanchez, pur mostrandosi molto più aperto al dialogo del predecessore, il conservatore Mariano
Rajoy, non ha fatto concessioni alle rivendicazioni catalane, negando ogni possibilità di referendum sull’indipendenza e aprendo
invece alla modifica dello statuto della regione che dia più garanzie all’autonomia.
Ma le vicende giudiziarie della Catalogna si intrecciano con le difficoltà politiche della Spagna. Lo stesso governo di Sanchez
sembra infatti avere ormai i giorni contati. Se domani la manovra Finanziaria dovesse essere bocciata dal Parlamento il premier
potrebbe annunciare lo scioglimento delle camere e il ricorso a elezioni anticipate da tenere al più presto: le indiscrezioni
circolate nei giorni scorsi indicano come date possibili il 14 aprile o il 26 maggio. Sanchez per sopravvivere ha bisogno
del sostegno dei partiti indipendentisti catalani ma non può accettare imposizioni da Barcellona. Gli indipendentisti catalani,
d’altra parte, sanno bene che nel caso in cui alle elezioni dovesse prevalere la destra dei Popolari e di Ciudadanos si chiuderebbe
per la questione catalana ogni possibilità di dialogo e di soluzione politica negoziata.
«Il governo lavora per l’unità della Spagna, il che significa unire gli spagnoli. Non quello che fanno le tre destre che sono
scese in piazza domenica scorsa», ha detto Sanchez attaccando i conservatori del Partito popolare e di Ciudadanos che hanno
manifestato assieme all’estrema destra di Vox; ma lamentandosi anche della miopia dei leader catalani e delle critiche ricevute
dalla vecchia guardia interna al Partito socialista.
Spagna e Catalogna divise anche nei sondaggi
Secondo un sondaggio di Metroscopia, oltre la metà degli spagnoli (52%) ritiene che i leader catalani sotto processo siano
colpevoli di ribellione, mentre solo il 14% considera che non si sono resi responsabili di alcun reato nel convocare il referendum
di autodeterminazione del primo ottobre del 2017, poi sfociato nella dichiarazione unilaterale di indipendenza. Per il 28%
degli intervistati, gli accusati hanno invece «commesso un reato, ma non così grave» come quello di ribellione.
E anche sulle intenzioni di voto Spagna e Catalogna sembrano andare in due direzioni diverse. Se nel paese, nel caso di elezioni
anticipate, gli ultimi sondaggi indicano come più che probabile un governo delle destre, nella regione di Barcellona la maggioranza
delle intenzioni di voto viene assegnata di nuovo al fronte indipendentista. E il processo che si apre potrebbe finire per
accendere la voglia di secessione della Catalogna.
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